Ci sono versioni incomplete e controverse sul teschio di San Bruno che, ceduto nel 1515 alla Certosa di San Martino in Napoli, è stato poi recuperato a furor di popolo.
Con l’aiuto della quantistica, da un luogo incerto detto: la “Soglia del Paradiso”, un intervistatore indeterminato incontra due protagonisti di quella vicenda e scopre azioni compiute rimaste in bilico, tra il “Bene e il Male”, che ne impediscono l’accesso in paradiso.
Gli intervistati: Il priore certosino Dom Pietro de Riccardis e il frate Manuel Fargias:
-Dom Pietro, in base al tema corrente, vuole esporre la sua versione?
Il priore annuì ed espose:
-Era una fredda alba del 12 novembre 1516, il frate Manuel Fargias, qui presente per l’eternità, preparò la carrozza e attese che io fossi pronto per il viaggio. Questo viaggio era stato preparato in tutta fretta e aveva come destinazione la Certosa di San Martino in Napoli. Avrei dovuto portare a termine una delicata missione. Anzi, più che missione; devo ammetterlo in tutta umiltà, si trattava di compiere un’azione “riparatrice”.
-Avevate commesso qualche cosa di riprovevole?
“In verità, io mi sentivo in buona fede…e passo a spiegare:
Era l’anno 1515, avevo mandato al priore della Certosa di San Martino in Napoli, il teschio del Patriarca Bruno da Colonia. Si trattava di una preziosa reliquia da sempre conservata gelosamente nella certosa di Serra; luogo dove il Santo trascorse gli ultimi anni della sua vita e da dove, il 6 ottobre 1101, la sua anima ascese al cielo. I fedeli del posto, appurato il fatto, disapprovarono il mio operato; protestarono energicamente e imposero l’immediato rientro della sacra reliquia. Fui costretto a riparare e mi accinsi; accompagnato dal fratello Manuel, a partire per Napoli per recuperare la reliquia. L’avrebbe riportata indietro frà Manuel, io sarei rimasto altri giorni con il priore della certosa di San Martino: Dom Giacomo d’Aragona, per il disbrigo di pratiche comuni concernenti la stesura delle relazioni da presentare al prossimo Capitolo Generale…”
– Frà Manuel Fargias, vuole esporre la sua versione?
-“In certosa mi occupavo della stalla insieme con frate Noberto. Avevo in cura i cavalli e la carrozza e, quando occorreva viaggiare, facevo da vetturino. Ero in grado di guidare con maestria e conoscevo bene le strade. Per giungere alla certosa di San Martino avevamo diviso il percorso in sei o sette tappe. In caso di impreviste necessità, contavamo di sostare presso caritatevoli parrocchie di paese. Il viaggio si svolse con regolarità e, verso la sera del 21 settembre giungemmo alla periferia di Napoli. Poi, su per la salita per il Vomero fino alla Certosa di San Martino. Dom Giacomo: il priore di quel monastero, ci accolse con tutti i riguardi. Io lasciai subito il priorato e mi preoccupai di sistemare i cavalli nella stalla, poi mi unì ai fratelli che si erano radunati in preghiera. Infine mi ritirai nella cella che mi era stata assegnata.
Nella giornata successiva il padre priore decise il da farsi e mi dette le istruzioni. Io, all’alba del nuovo giorno, avrei iniziato il viaggio di ritorno per riportare la sacra reliquia alla certosa di Serra. Il mio priore si sarebbe trattenuto nella Certosa di Napoli per completare, insieme con Dom Giacomo d’Aragona, la relazione da presentare al Capitolo Generale del 1517….”
Lascio i due protagonisti sulla “Soglia del Paradiso” e spiego, in sintesi, cosa ho tratto dalle loro complete testimonianze.
-Nel settembre del 1516, il priore Dom Pietro e il frate Manuel, si misero in viaggio con una carrozza a cavalli protetta da una volta telata, con l’intento di recuperare la reliquia.
Ivi giunti Il priore della certosa di San Martino, sentite le ragioni della richiesta, restituì prontamente la cassetta di legno con il cranio e l’annessa pergamena, vergata in lingua latina, che ne descriveva il contenuto.
Il priore di Serra restò in quella certosa mentre, frate Manuel, iniziò il viaggio di ritorno con il prezioso carico che era stato collocato con cura all’interno della carrozza. Dopo due ore di viaggio, in aperta campagna, il monaco si vide la strada sbarrata da un pesante carro che, trainato dai buoi, si era posto di traverso. Frà Manuel scese dalla carrozza per aiutare il bovaro ad allineare il mezzo sulla strada e, conclusa felicemente la manovra, riprese il viaggio. Verso mezzogiorno il frate sostò per prelevare dalla sua bisaccia il desinare e si accorse che la bisaccia era sparita; ed era sparita anche la cassetta con la sacra reliquia. Tra lo stupore e la disperazione, il monaco, decise di tornare alla Certosa di San Martino per raccontare l’accaduto al suo superiore. Giunto sul tratto di strada, dove poco prima aveva compiuto la buona azione per aiutare il “bovaro”, perlustrò nei dintorni nella speranza che i malviventi avessero abbandonato la refurtiva; ma tutto risultò vano. Sconsolato riprese il viaggio e, prima di giungere alla certosa di Napoli, entrò in un cimitero di un paesino lungo il percorso, e s’ impossessò di un vetusto teschio che nascose sotto alcuni sacchi di fieno all’interno della carrozza. Tornato in certosa, con timore e segnato dal peccato, fece al priore un minuzioso racconto dell’accaduto; invocando il perdono anche per il furto sacrilego compiuto nel cimitero. Dom Pietro, in un primo tempo, apparve affranto e smarrito poi, recuperata la ragione e con l’aiuto del priore di San Martino, addivenne ad una soluzione adeguata per mantenere segreta l’intera faccenda. In quel di Serra, la “cosa”, raccontata così com’era accaduta, avrebbe creato incredulità, innescando ulteriori tumulti. I due priori decisero di aggirare e mitigare l’episodio celando il teschio in un busto reliquario d’argento, e ciò fu facilitato dal fatto che il priore della certosa di San Martino aveva già ordinato, ad una fabbrica del luogo, un busto d’ argento dedicato a San Martino. Infatti l’opera era già in fase di lavorazione presso la bottega orafa del maestro argentiere Nocenzo Pullese: il migliore dei mastri orafi napoletani del momento. Ora bisognava adeguare e congegnare il busto di modo che rappresentasse il nuovo santo e che, nel cavo della testa, ci fosse lo spazio sufficiente per accogliere il teschio. Questo serviva per occultare il cranio alla vista dei più accorti che avrebbero potuto riconoscerlo e di rimando: innescare un pericoloso subbuglio. Vennero concordati i particolari dell’opera da fare in tre pezzi: Testa, Collare e Busto. Il cavo della testa doveva accogliere il cranio del santo avvolto nell’ovatta e fasciato con teli di lino. Poi, la testa della statua con il suo contenuto doveva innestarsi all’altezza del collo, ed il collare; fungendo da suggello, doveva fissare le due parti al busto tramite un congegno a chiave manovrabile dall’interno della stessa statua. Restava da comunicare al popolo di Serra che il cranio veniva trattenuto ancora in Napoli perché era in corso la realizzazione di un prezioso simulacro, degno del Patriarca certosino. E per il fatto che il 19 luglio 1514, Papa Leone X, aveva concesso l’autorizzazione al culto “vivae vocis oraculo” in onore del fondatore dell’ordine certosino.
Frà Manuel, tornato nella certosa di Serra comunicò la novella a viva voce e con lettera del priore indirizzata ai notabili del luogo.
Il lavoro fu concluso felicemente e in breve tempo, grazie ai valenti orafi di mastro Nocenzo, che si prestarono a lavorare indefessi persino di notte; cesellando e martellando il busto alla luce di fioche candele.
Era il 30 novembre 1516 quando la statua argentea del Santo, con il cranio racchiuso ad arte nel vano della testa, fu portato nella Certosa di Serra e restituito ai fedeli i quali, esultanti, l’accolsero in gran pompa.
Qualche mese dopo, la cassetta contenente la reliquia rubata, fu trovata abbandonata sui gradini di una chiesa napoletana e restituita al Priore della certosa di san Martino che provvide; in via molto riservata, a consegnarla al priore della certosa di Serra. Dom Pietro, contento dell’esito insperato, si affrettò a collocarla nel posto giusto.
Questa è la sequenza quantica dei fatti accaduti ma, la Porta del Paradiso, per il priore dom Pietro de Riccardis e per il frate Manuel Fargias, resta ancora chiusa.