Siamo nell’epoca tecnologica: viviamo, cioè, in un tempo segnato dall’efficienza, un’epoca in cui l’uomo non accetta molto facilmente di dedicare un tempo più o meno lungo ad un’attività di cui non vede immediatamente i risultati pratici.
Viviamo anche in un mondo secolarizzato: all’uomo medievale, che considerava la terra soltanto come un luogo di passaggio e viveva con un piede nel mondo e con l’altro in cielo, è succeduto l’uomo contemporaneo, che riconosce solo la validità di questo mondo e in questo mondo soltanto vuole realizzare le sue attese e le sue speranze.
Sollecitati dall’efficienza e circoscritti in una visione del mondo da cui esula ogni riferimento al soprannaturale, i nostri contemporanei non possono fare a meno di domandarsi: «Ma che utilità portano alla società gli uomini e le donne che vivono in un chiostro, segregati dal mondo? Non sarebbero di maggiore utilità fuori dei monasteri?».
Certo, se si ragiona adottando come unico criterio l’utilità pratica, allora si deve concludere che i contemplativi sono inutili, anzi sono dei perfetti egoisti perché non si interessano degli altri. Ma se invece vengono assunti altri criteri di giudizio, allora si può arrivare a cogliere la validità e l’utilità, ancora attuale, di ordini contemplativi come quello dei Certosini.
I reduci della grande guerra (ormai pochi) sapevano che non era necessario soltanto il soldato che, in prima linea, esponeva la sua vita al fuoco nemico, ma erano altrettanto necessari coloro che, stando in seconda linea (cucine, ospedale ecc.) permettevano al soldato di prima linea di continuare a combattere. L’esempio di Mosè che prega, mentre gli Israeliti combattono gli Amaleciti (Es 17,8-13) è significativo.
Ma forse la principale ragione della necessità della vita contemplativa la si può trovare nell’apertura dell’uomo a Dio. Mentre la civiltà occidentale è tutta orientata a “fare”, a “produrre” e quindi a “consumare”, la civiltà orientale è orientata al gusto della riflessione profonda, alla ricerca dell’assoluto e di Dio. Il contemplativo ci riporta, così, ad una dimensione che noi occidentali abbiamo accantonato come superata, superflua e inutile: vivere di Dio e per Dio. Senza dubbio è questo il senso della risposta di Gesù a Marta che si preoccupava di essere stata lasciata sola a servire, mentre Maria se ne stava ad ascoltare Gesù, quindi apparentemente senza far nulla di produttivo (Lc 10,41-42). I contemplativi diventano così dei testimoni di un mondo trascurato dagli altri uomini.
Il magistero della Chiesa ha sempre giustificato la vita e la funzione degli Ordini contemplativi. Già Pio XI nella bolla Umbratilem vitam dell’8 luglio 1924 (AAS 1924, pp. 385-390) ricordava la ragion d’essere dei monaci di vita contemplativa e insisteva sulla importanza che nella Chiesa non manchino mai questi intercessori liberi dal ministero esteriore ed esenti da ogni altro obbligo, al di fuori di quello della preghiera. Nella Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo del Vaticano II i padri conciliari affermarono che è necessario «mantenere nell’uomo le facoltà della contemplazione e dell’ammirazione che conducono alla sapienza» (Gaudium et spes, n. 56). Dunque, anche per applicarsi a conoscere la scienza umana occorre la contemplazione, cioè il silenzio e l’isolamento. Tuttavia, molti amano il rumore e il movimento: non avendo un’attiva vita interiore di pensiero e di riflessione, quando manca il movimento e il rumore, si sentono perduti. Invece, tutte le cose belle e grandi maturano nel silenzio e i grandi uomini furono e sono tutti uomini di silenzio e di contemplazione. Quanto agli istituti dediti alla vita contemplativa il Vaticano II così si esprime nel Decreto sul rinnovamento della vita religiosa: «Gli istituti dediti interamente alla contemplazione, tanto che i loro membri si occupano solo di Dio nella solitudine e nel silenzio, in continua preghiera e intensa penitenza, pur nella urgente necessità di apostolato attivo, conservano sempre un posto assai eminente nel Corpo mistico di Cristo, in cui “nessun membro ha la stessa funzione” (Rom 12,4). Essi infatti offrono a Dio un eccellente sacrificio di lode, e, producendo frutti abbondantissimi di santità, sono di onore e di esempio al popolo di Dio, cui danno incremento con una misteriosa fecondità apostolica. Cosicché costituiscono una gloria per la Chiesa e una sorgente di grazie celesti» (Perfectae caritatis, n. 7).
Parole autorevoli, queste ultime, che possono mettere fine a quelle discussioni che fanno anche tanti buoni cristiani: «Con tanta necessità di preti che c’è nel mondo, perché i Certosini e gli altri Ordini contemplativi non lasciano i loro monasteri per andare a predicare, confessare, dir Messa ecc.?».
Non solo i contemplativi non devono uscire dai loro monasteri, ma anche noi che siamo nel mondo dobbiamo vivere la contemplazione come clima di preghiera e di ascolto di quel Dio che quotidianamente parla ai suoi fedeli: «Oggi, se udite la sua voce, non indurite il vostro cuore» (Salmo 94,8).
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