All’orizzonte, il sole era prossimo a posarsi sul mare, le onde s’infrangevano contro scogli che ne riflettevano i suoi rossi raggi.
Lì, su di un solitario scoglio tra le onde, una giovane donna lasciava che un lieve e caldo vento sfiorasse i suoi capelli e che asciugasse le sue gote sorridenti. Bellezza e mistero era la sua sagoma nera che eclissava il sole per chi dalla spiaggia l’avesse scorta. Lì, sola sorrideva. Mai conosciuto il sorriso che interrompe ed allontana le lacrime dagli occhi? Quel sorriso che rimane, quando spremuta tutta la propria tristezza non rimane che sentire che, nonostante tutto, la vita ha sempre quel suo tocco di meraviglia? Ecco, quel sorriso.
Alle sue spalle, nella silente spiaggia vira appena giunto un giovane che rannicchiato attendeva che la schiuma delle onde sfiorasse i suoi piedi; i suoi occhi erano volti al quieto orizzonte quando s’accorse che sullo scoglio, dove egli era solito penzolarvi i piedi sullo specchio mosso del mare, vi era lei. Incuriosito nuotò verso ciò che stava tra lui e il sole.
S’avvicinò: << Ciao!>> -disse. Lei dopo qualche secondo rispose, irrigidendo i piedi che più non penzolavano, appaiando le ginocchia, avvicinando una tremante mano al viso, quindi con voce impaurita: << lasciami stare!>>. Vi fu in lui un attimo d’esitazione in cui nel suo volto trapelò un confuso sguardo, poi rispose: << scusa, non era nelle mie intenzioni spaventarti. Vado via.>>. Si mise a nuotare con piccole bracciate, come ferito, ma subito dopo si bloccò sentendo la voce di lei: << Che cazzo voleva?. “Ciao! Ciao!”. Che senso ha? Voglio stare sola! Tanto oggi ti conosco e domani te ne vai! Lasciami sola! >>. Nuotava ora in modo agitato poi d’un colpo sì arrestò, cambiò direzione e le andò contro.
<<Come hai detto?!>> -chiese. << “Come hai detto?”>> Ribatté lei, con voce sfottente e infastidita. << Senti, calmati! Se hai cose tue per la testa che>> s’interruppe qui il suo ribattere quando lei attaccò: <<Cose tue? Cos’è “tuo”? Cosa significa? Non sai che dici! E poi che vuoi eh?! Lasciami stare!>>-lei. <<Senti! Ora ti dai una calmata! Seriamente! Volevo solo conoscerti con leggerezza, che male ti ho fatto? Eh?!>> -lui. << Mi infastidisci comunque! Se una persona vuole stare sola un motivo lo avrà! Ma tu che ne puoi capire?!>> -lei. << E stattene lì. Se non posso capire! Chissà che sarà mai! Chissà che avrai!>> -lui ribatté. Scese lei rapidamente dallo scoglio e gli stampò uno schiaffo sul viso…schiaffo di rabbia, forse odio… dunque si sentì chiedere con impotenza: <<Perché?>>. Non rispose. l suoi occhi erano lucidi, tremante il mento, le labbra risposero << Perdonami, per favore…>> e cadde allora la prima lacrima. Insieme alla lacrima, cadde il silenzio, privo persino di pensieri; non era che il tempo necessario perché le emozioni fluissero dall’anima alla mente, quindi alle labbra. Silenzio ed ancora silenzio.
<<È solo uno schiaffo… tranquilla, piangi se ne hai bisogno ma non per quanto successo ora.>> -Le disse.
<<Solo? Solo? Non hai idea di cosa sia uno schiaffo. Guardami! Un solo schiaffo non è. Non per me.>> Rispose.
<<Non farne un dramma! Può capitare di perdere il controllo di sé e purtroppo di comunicare con le mani la rabbia che si prova.>>
<<Non capisci! Non capisci! Non è per questo che piango! Non è per te! Ma per quanto io possa dirmi che la mia è stata solo una difesa, uno schiaffo per me non sarà!>>.
Silenzio, solo le onde, il vento, un lontano gabbiano. Il volto di lui immobile, nessuna parola. Solo un teso respirare. Silenzio. E il sole si nascondeva ora dietro l’orizzonte, rosee e delicate nuvole macchiavano il cielo. Silenzio.
<<Come ti chiami?>> Tentò egli di azzerare ogni emozione con una banale formalità.
<< Che ti serve conoscere il mio nome?>>. Lei rispose voltandosi di spalle e rannicchiandosi ad un angolo di scoglio dopo esservi appena risalita. << Così! Per identificare e definire questa pazza che mi prende a schiaffi?>>
Rise ironicamente, <<Va bene… volevi conoscermi?>> asciugandosi le lacrime dagli occhi…<< Io? No, no… è che questo è il mio scoglio e tu ci stai sopra. >> rispose lui mentre un’onda lo avvicinava allo scoglio tanto che dovette appoggiarvisi con una mano per non sbattervi contro.
<<Sali e ti caccio a calci! >> Disse lei.
<<E dopo che fai? Piangi ancora?>>. Rispose.
Uno sguardo duro lo raggiunse ed egli sommerse con timore in acqua la mano. Poi… silenzio.
<<Scusa, scusa. Posso restare qui? Mi capita spesso di sedere lì come te e restare in silenzio, gustare la quiete, ascoltare le onde. Ma…stai nuovamente per iniziare a piangere? Va bene! Vado via.>> – lui.
<<Smettila! Ok. Ok. Smettila! Non hai colpe, se non d’essere ingenuo pensando che andandotene mi rassereneresti. Ormai hai fatto il danno, ora ripara. Ti va di parlami di questo posto? Voglio capire perché lo sento mio anche se è la prima volta che mi ci poso su.>> Impose lei, sorridendo appena e lasciandolo ancora confuso.
<< Questo scoglio è “il Rubino del Sole e del Mare”>>
<<“Ru” cosa?>>
<<Dai! Permettimi di sedermi e ti racconterò>>
Ella gli porse la mano, la strinse e lui si mise appena distante di lato e guardando ora il mare, ora l’orizzonte, quindi iniziò:
<<Il rubino è una preziosa pietra rossa, come ben saprai. È così chiamato questo scoglio perché quando il sole si poggia sul mare lo irradia di luce viva, rossa. Un’antica leggenda narra che sia stato il dono che il dio del Sole diede alla dea del Mare per amore, per conquistarla. Per quel che ne so: la dea del Mare rifiutava il suo amore e il dio del Sole dopo aver provato a conquistarla lungo un intero giorno si arrese al tramonto. Fu proprio allora che la dea vide i suoi raggi trasformare la nera pietra in prezioso, accecante rubino. Tanto ne fu catturata che fu ella allora a rincorrere il dio del Sole. E lì: all’orizzonte, lì dove la scia rossa del mare incontra il Sole, essi si baciarono. Ma nulla si sa oltre a ciò, giacché il dio del Sole insieme alla dea del Mare nel buio della notte si celarono.>>
<< Mai sentita. C’è altro?>>
<<In realtà, sì. Gli scienziati spiegano questo fenomeno della pietra che splende di rosso donando i meriti alle strane inclinazioni dei cristalli cui questa è composta. Le loro facce riflettono diffusamente i raggi, creando un gioco di luci che se guardati dalla riva o dal cielo danno l’ illusione che lo scoglio splenda e rosseggi.>>. Aggiunse.
<<Parli troppo. Ora mi stai annoiando, saputello.>>
<<Senti! Parla tu allora! E che?! Non mi dici come ti chiami! Che ci fai qui! Perché prima hai pianto! E ora pure ti annoi?!>>
<<Piango perché a breve io sarò morta. Se prima ti ho schiaffeggiato ed ho pianto è perché ero arrabbiata con la vita. Il tuo viso è stato in quell’attimo il viso della vita. Ma no! La rabbia non cambierà questa mia storia, mi priva solamente gli ultimi miei attimi della serenità di cui ho bisogno. Perché l’ho detto?>>
Silenzio. Silenzi.
<<Posso farti una domanda? Una sola.>>
<<Falla, saputello.>>
<< Sta sera balli insieme a me?>>
<<Come? Io sto morendo e tu non mi chiedi nulla! Ma che cosa sei? Pensi al ballo? Maa si tanto muoio presto… Eh?>>
<<Potrei anche chiederti di cosa morirai. Di cosa? Suicidio? O sarà un uomo ad ucciderti? O una malattia a lungo sofferta? Non mi hai detto il tuo nome per non essere definita, per non riuscire a classificare, a donare un nome alla tua essenza, alla tua futura assenza. Sbaglio? Perché hai paura di perderla questa tua essenza, hai paura di mancare. Non voglio darti paure, hai detto che hai bisogno di serenità. Vivi insieme a me. Vivi il tuo corpo e la tua notte. Sarà un attimo. Sarà il tuo.>>
Silenzio.
<<Grazie. Senza conoscermi, mi stai chiedendo di vivere. Mi stai forzando a vivere un’ultima volta. E comunque potresti chiedermelo nuovamente come mi chiamo… >>
Era l’imbrunire, ormai. Un gioco di ombre sfiorava i loro sorrisi d’intesa. E appena prima di tornare a riva, lei colse una conchiglia che stava lì sullo scoglio.
<<Sai cos’è questa? Saputello!>>
<<Una conchiglia, che vuoi? Il nome della specie?>> rispose sfottendola.
<<Non sai nulla! Le conchiglie sono la voce del mare. Ecco, poggiala all’orecchio! >>. La poggiò. <<Chiudi gli occhi, saputello, si ascolta meglio.>> .Chiuse gli occhi. <<Schiudi appena le labbra, ascolterai meglio, saputello!>>. Schiuse appena le labbra. Ed ecco che un bacio congiunse le loro labbra, le loro vite.
Vi furono sorrisi, silenti sorrisi e sguardi, increduli sguardi. Poi lei avvicinandosi un’ultima conchiglia, appena colta, alle labbra vi sussurrò dentro.
<<Sai cosa c’è di prezioso in questa?>>
<<La voce del mare?>>. <<No! La voce mia.>>
E la scagliò contro un’onda che poi batté contro lo scoglio.
Stava calando intanto il buio. Con rapide bracciate nuotarono fino a riva dove le loro orme sulla calda sabbia erano accompagnate da un’ eco di risate d’intesa, risate che non hanno bisogno di tempo per nascere, così naturali che segnano l’inizio di un amore che non da retta alle stupide leggi del tempo, delle esperienze necessarie per amare. È amore e basta. Arrivarono, quindi, ad un ristorante appena distante dal mare.
<< Posso invitarti a cena? Non ti sto chiedendo di ballare. Vuoi cenare insieme a me?>> – lui.
<<Cos’è fai un passo indietro? Mi hai invitato a ballare! Ora che fai? Ti tiri dietro? Portami a cena, portami a ballare! In fretta. Domani, forse non sarò più qui. Andiamo.>> – lei.
<< Non ce la faccio a sentirti dire così, di tanta tristezza mi riempie il cuore questa tua incertezza. >> – Le disse aprendo la porta del ristorante ed concedendole il primo passo. Lei entrò sorridendogli scherzosamente. Un sorriso? Come poteva ora sorridere? Come poteva vivere quella sera senza l’ansia della morte che sarebbe presto arrivata. Come ci si può sentire pronti a morire? La morte lascia sempre qualcosa in sospeso.
<< Guarda! Oltre la finestra, lì la terrazza s’affaccia sul mare! Vieni! Seguimi! DAAI! >> disse, correndo verso il terrazzo. La seguì.
<< Saputello! Quella lì in cielo… cos’è? >> – chiese.
<< Credo sia Venere, la prima stella che splende nella sera. Chiedo scusa, il primo pianeta che compare brillante nel cielo. Perché?>>- rispose. – << Tu sai, ma non sai! Troppo semplice. Ti basta donare un nome per fermarti nella conoscenza di ciò che ti circonda. >> – affermò lei. << Cos’è una stella?>> – poi chiese.
<< Per quel che io ne sappia: idrogeno, elio, fusione nucleare… è uno spazio dentro il quale protoni si fondono l’un con l’altro formando atomi di dimensioni maggiori e liberando una enorme quantità di energia; una parte di quella poi può essere percepita dai nostri occhi e noi la chiamiamo luce… e ognuno di quei punti luminosi di luce nel cielo lo chiamiamo stella. Ma se proprio devo andare oltre la conoscenza spicciola… In una stella vedo ciò che ci compone: la materia che ci compone ha avuto origine dalle stelle, da quei piccoli atomi che nelle varie fasi di vita delle stelle si sono formati, per poi aggregarsi in molecole che interagendo tra di esse hanno formato pianeti o addirittura la vita, quando le condizioni lo hanno permesso, come nel caso della nostra Terra. Siamo frammenti di stelle anche noi. Deriviamo dalle stelle e, secondo il ciclo della materia, stelle torneremo ad essere. Contenta così?>>
<< Che palle! Ooooh… io sto per morire ma tu mi sembri un morto vivente! Guarda oltre, guarda me! Sono solo materia? E se faccio una faccia buffa? E se ti dico che sto bene con te, anche se non so cosa sarà del mio domani? E se ti dico che sto bene con te anche se sei una palla… una palla assurda? Come lo spieghi? E non guardarmi così! Come se tu abbia una verità per smontare questa mia voglia di vita! Guardami! Hai questa verità?>>
<<No.>> – Le rispose dopo averle sfiorato con le dita il volto.
<< E allora non morire ogni giorno accontentandoti che un giorno ritornerai ad essere una stella. Così sarà una vita rassegnata, buia. Ma splendi! Emana luce, ora! Vivi la tua luce. Falla vivere. Non ti sto dicendo nulla di nuovo. Ti chiedo amare la vita senza bisogno di definirla o di donarle una spiegazione. Siamo esseri umani. Non abbiamo tante di quelle risposte! Ama la vita, ama il cielo, ama me e… amami ancora…>>
Nello stesso attimo in cui lei concludeva, guardandolo fisso negli occhi, un cameriere giunse chiedendo cortesemente ai due di uscire dal ristorante; era infatti un posto di “classe” quello, di persone di tutto punto, abiti serali e non adatto per i loro piedi scalzi e insabbiati, non adatto per due in costume da bagno, non adatto per loro due. Ma loro sembravano non aver sentito, fin quando non li prese di braccio e li cacciò forzatamente e con falso sorriso.
<< Devo amare anche il cameriere, per caso?>> – chiese lui.
<< Se hai queste tendenze, fai pure!>> – rispose lei.
<< La tendenza a voltargli qualche schiaffo! Non è possibile! Ed ora dove mangiamo?>>.
Vi era in lontananza un bar. Una volato raggiunto si sedettero, presero un panino ed una bibita che potesse rendere fresca la sera. E via, a parlare… a ridere… a cercare di conoscere il nome di lei, il perché lei dovesse morire l’indomani o da lì poco… ma ogni volta che tornavano questi discorsi lei rispondeva: << ti ho già sussurrato tutto, devi solo trovare la mia voce e saprai chi sono io per te.>>
Si fece allora notte e, come promesso, andarono a ballare. La musica, l’allegria, la gente. Bello, molto bello…anzi noioso. 1, 2, 3, 4… era quello ballare? Forse sì… ma non quello adatto per quella notte. Qualche passo sulla spiaggia, qualche spinta ed ecco che era giunto il posto dove ballare: lì un pezzo in mezzo alla notte, schiariti da un plenilunio che allungava le loro ombre impacciate nei primi passi.
<< Mi permette signorina? Si lasci trasportare dal suono di queste onde e guidare da questa fresca brezza.>>
<< A te l’alcool fa male, ma proprio subito, eh! Dobbiamo ballare o dare retta al vento e alle onde? Dai, smettila. Fammi ballare! >>.
I passi sprofondavano nella sabbia, i loro corpi erano ora una sola cosa con ciò che li circondava. Le stelle, il vento, il mare, lo schioccare di baci che non tardò ad aggiungersi. Via ogni pezzo di costume, via ogni intimità ed eccoli precipitare sulla subbia, precipitare nel piacere, nell’amore.
Via la morte, via la vita, via le stelle, il cameriere, le domande e le risposte, il tempo e lo spazio. Via, via! Non vi era più nulla a cui pensare che riuscisse ad eclissare l’amore. E le schiene che si ricoprivano di sudore e sabbia e la pelle rabbrividiva dal freddo e al vento e li bagnava la schiuma di cavalloni che a tratti li sfiorava. E via, via tutto. Era amore, un universo nell’universo e quali dei due contenesse l’altro non vi è concesso sapere. Via, i dettagli e le imperfezioni, via il mistero. Un ultimo bacio, un ultimo sorriso.
Dormivano ormai da tempo sulla spiaggia, l’aurora stava per nascere ed i primi gabbiani già volavano alti. Aprì lui gli occhi quando di fianco al suo corpo trovò il vuoto della sabbia infossata e le tracce di timidi passi, indecisi, mille volte ripetuti, ora verso d lui, ora lontano, ora accanto a lui, ora lontano e poi una lunga linea di orme pesanti e frettolose, che seguì fin a rassegnarsi lì dove iniziava l’asfalto.
Chi era? Ciò non gli era stato concesso sapere. Non incontrò mai più nuovamente quella giovane donna che si era interposta tra lui e il sole eclissandolo al tramonto. Non più.
Ed ecco il ritornare del mistero, delle imperfezioni e dei dettagli. E l’universo era un nulla contenuto nel nulla, o contenente il nulla dell’amore. Ogni onda non bagnava che il nulla, il freddo non rabbrividiva la pelle, nemmeno il vento, la sabbia non ricopriva più alcuna schiena sudata. E ogni pensiero eclissava quell’amore. E il ritorno, il ritorno dello spazio e del tempo, delle risposte e delle domande, del cameriere, il ritornare delle stelle, il ritornare della vita, il ritornare della morte.
Cos’era stata quella notte? Chi era lei? Ed ecco il riavvolgersi e lo svolgersi di ogni attimo, ancora, ancora. Lì sul quello scoglio, era ora lui solo. Le gambe penzolavano nell’ acqua, lo sguardo perso nel vuoto. Il tramonto, la sera, la notte: cos’erano? S’erano già succeduti? Quando? Dove? Avvolgi e svolgi, riavvolgi e svolgi. Punto. Riavvolgi. Punto. Svolgi. Punto.
<< Chi era? Perché non mi ha detto chi era?>>
Un battersi di un’onda sullo scoglio. Il battersi dell’onda, quell’onda così simile a quella su cui aveva scagliato la conchiglia.
<< La conchiglia, conchiglia, con-con-conchiglia! Il suo sussurro! La sua voce! “Ti ho già sussurrato tutto, devi solo trovare la mia voce e saprai chi sono io per te” >>.
Ma certo, bisognava che egli trovasse la voce di lei. E allora iniziò. Notte e giorno, aurora e tramonto. Il loro tramonto, la scia rossa sul mare che porta all’orizzonte, l’amor degli dei celato nel buio. La prima stella, le stelle. La notte. Il giorno, l’aurora, il tramonto. Continuò così a lungo. L’estate volgeva ormai al termine ed egli ancor la cercava.
<< M’ha preso in giro! No, è morta! È stata solo una scopata di una notte! Ma cos’era quell’amore che sentivo? Lei, la sua voce, i brividi, le orme dei suoi passi frettolosi. Alcun addio, alcun nome. Cosa? Cosa? La conchiglia! La sua voce! Ha sussurrato per me.>>.
E s’immergeva cercandola, il giorno nel mare, la notte nei sogni. Eccola! Trovata! Il risveglio. Dov’è? Ancora in mare. Devo cercarla. Continuò così troppo a lungo, anche col mare in bufera… ma il mare in bufera non ha pietà. Un onda lo sbatté contro il loro scoglio e lo fece svenire mentre il rosso sangue fuoriusciva e si dissolveva nel blu del mare. Ed ecco che il mare lo riporta quindi a riva. Un uomo a riva, ambulanza, ospedale. Chi l’aveva salvato? Lei? Il Cameriere? Un passante? Ciò non gli fu concesso saperlo. Una tremenda febbre, stato di shock psicologico, coscienza alterata riferiranno i referti medici:
“il paziente afferma di star cercando la voce della donna che ama. Riferisce di aver consumato con lei un rapporto sessuale. Riferisce che lei è morta ma senza affermarlo con forza. Riferisce che deve ritornare a cercarla. Riferisce che la sua voce sia custodita in una conchiglia. Presenta numerose ferite a livello degli arti superiori ed inferiori, tali da impedire la normale deambulazione.”
Passarono i giorni in ospedale. Il tempo di essere dimesso. Era avvenuto tutto così rapidamente. Che il suo cervello di carne non era riuscito a non cader nella follia. Una passeggiata, un tramonto ed ecco splendere in lontananza il Rubino del Sole e del Mare. La sua voce… la sua voce… ma qual follia! La sua voce! Ma come raggiungerla? Messo in quel modo? Senza poter più nuotare? Bisognava lasciar perdere la sua voce. E così fece… poi d’un tratto vide un bambino giocare sulla spiaggia. Il piccolo dopo aver scavato una buca affermava di volerla riempire per svuotare così il mare. Guardandolo da lontano lui si mise a ridere ingenuamente. Poi a se disse:
<< La sua voce è ancora in mare e nessuno può più trovarla, e non e stato un sogno, lei è esistita, e chi può dire al piccolo che non sta veramente svuotando il mare? Non sta egli realmente togliendo l’acqua dal mare? Come si può contraddire il piccolo temerario? La voce di lei, è lì: nel mare. Si può dire a chi lotta il male con un atto di bene che egli sta sbagliando? Che egli deve arrendersi al male? Si può dire a chi lotta contro la morte che sta sbagliando? Che egli deve arrendersi alla morte? E allora perché io non posso svuotare il mare? Perché devo arrendermi? La sua voce. La sua voce è lì. >>.
Ed ecco allora, impossibilitato a nuotare, zoppicando ad ogni passo, che giorno e notte riempiva un secchio e poi lo svuotava. Riempi e svuota. Riempi e svuota. La sua voce. La sua voce. E passavano i giorni e notavano e chiedevano la gente, e giudicavano e chiedevano.
– << PAZZO! Sei impazzito, hai perso ogni ragione!>> gli dicevano.
– << Preferisco vivere una vita senza ragione che senza ragion di vita. >> – rispondeva e tornando alla sua temeraria opera.
Le sue braccia erano ormai stanche, sfinite dal peso di quei secchi colmi d’acqua salata. Ritrovata la speranza vedendo calare il livello del mare all’ abbassarsi della marea e rinvigoriva le bracciate all’alzarsi di essa; quando vi era la tempesta e le onde, guardava da dietro i vetri della finestra di casa propria, il mare arrabbiarsi, soffrire per quella lunga lotta contro il suo amore, poi quando vi era quiete tornava a riva fin quando non l’ avesse ferito e non si fosse nuovamente arrabbiato.
Venne il giorno in cui egli perse ogni speranza. Era allora l’ ora del tramonto quando egli, nelle sue precarie condizioni fisiche, scelse come ultimo disperata atto di nuotare verso lo scoglio. Furono dure bracciate, in un mare rosso ed agitato. Arrivo lì. Un cavallone lo scaraventò nuovamente in acqua. Sprofondò e lì aperti gli occhi in offuscata visione intravide la tanto amata conchiglia conficcata in un’insenatura. L’afferrò. Risalì a galla, appoggiò una mano allo scoglio e vi salì sopra. Poggiò la conchiglia all’orecchio e sì, aveva dentro non la voce del mare ma di lei.
Sorrise, sorrise, sorrise. Poi un ultimo cavallone lo colpì sbattendo lo duramente contro lo scoglio ed egli cadde e sprofondò nel mare sorridendo.
Quel giorno un acceso tramonto irradiava a lo scoglio trasformandolo in un rubino vivo e rosseggiante, mentre lì nel cielo rosse nuvole assumevano ora la forma di due amanti stretti in un eterno abbraccio che nel buio della notte si sarebbe celato.