Nei giorni scorsi, durante una breve ed emozionante veglia di preghiera davanti al cimitero, alla recita del Padre Nostro del Santo Rosario, riuscii appena a sentire qualcosa di diverso. Una signora, invece del “non indurci in tentazione”, recitava “non abbandonarci alla tentazione” Strano voi direte. No! Può il Dio dell’amore, il Dio della misericordia indurci alla tentazione del peccato, tentare l’uomo? Ma certamente no. Semmai deve aiutarci ad evitare di peccare, insomma a non abbandonarci nella cattiva strada verso il Maligno. E poi, sarà proprio vero che Gesù, nel rivolgersi al Padre, nella sua lingua, l’aramaico, abbia detto “non indurci”? Ormai tanti anni di studi approfonditi hanno acclarato il contrario. A quando la sostituzione della vecchia errata locuzione? Eppure la Cei si è pronunciata, ufficialmente, a favore. Lo ha fatto, nel 2014, durante il 1° Congresso eucaristico della Diocesi di Oppido Mamertina-Palmi, allorquando il liturgista della Cei mons. Giuseppe Busani, vicario episcopale per la Pastorale della Diocesi di Piacenza –Bobbio, comunicò che “entro ragionevole tempo, attraverso la stampa e la divulgazione dei Messali e dei Lezionari in tutto il territorio nazionale, il ritorno alle origini della preghiera di Gesù sarà finalmente anche da noi un atto compiuto e non solo atteso.” Ricordiamo che è stato, fin dal 1993, il calabrese Filippo Marino, storico e filologo, a fare la sensazionale scoperta dell’errato “non indurci” dovuto alla molteplicità dei significati attribuiti alla parola nel corso dei secoli nei diversi luoghi, e da allora gli studi si sono sempre più intensificati e nel 2009 la nuova traduzione è stata riportata nella Bibbia Ufficiale di Gerusalemme ed in quella del cardinale Gianfranco Ravasi. “…e non abbandonarci alla tentazione!” A quando la nuova traduzione? Perché i tempi tecnici si protraggono?
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