Il nostro lo faceva “suorma Nunziata, supa lu cummuncino”: un mobiletto di un metro e mezzo per settantacinque centimetri. Su quella piccola superficie, con tre, quattro zucchetti, conservati “supa la stramata” da un anno all’altro, creava l’impalcatura per dar vita ad un paesaggio, animato da pastori e animali rivolti verso la grotta dove, illuminati, i personaggi della Natività completavano il presepio.
Verso la fine di novembre ci procuravamo degli arbusti, terra bianca (calcare?)che doveva fungere da neve e muschio.
Grande o piccolo, il presepio si faceva in tutte le case. E dove non c’era spazio per farlo, si esponeva la grotta con relativi occupanti. L’albero di Natale non si conosceva. Il primo lo vidi in un libro di lettura di terza o quarta elementare una settantina di anni addietro: rimasi indifferente: meglio, molto meglio e suggestivo il presepio di casa.
Chissà quante migliaia di statuette si nascondono, in completo abbandono, nelle soffitte di Serra e di tanti altri paesi e chissà, fra queste, quanti piccoli capolavori cui nessuno diede mai importanza perché misconosciute.
Ricordo un Gesù Bambino, ora sicuramente nelle esperte mani del prof. Giuseppe Maria Pisani. Il Bambinello, grande due, tre centimetri, apparteneva a mastro Salvatore Barillari (lu Ciraru), zio dei Pisani, emigrato negli Usa. Lo teneva “ntra la fadda” la Madonna ed era pieno di fossettine: l’artista, autore della statuetta, era così tanto miope, quasi cieco, che, per tenerlo vicino agli occhi, lo bucherellava col naso.
Si aspettavano i giorni natalizi con ansia.
“Cu lu mustra, cu lu mustra?” Ci si chiedeva.
Si diceva subito in paese: tal de’ tali “lu mustra”. E noi, bambini, ci incamminavamo verso la casa indicata che rimaneva aperta fino alla Epifania, quando i re, Gasparre, Melchiorre e Baldassarre arrivavano alla grotta a deporre i regali: oro, incenso e mirra.
“Cinnirata”, questo il nomignolo di Antonio Macrì, impiegato al Banco di Napoli, faceva, anno dopo anno, il presepio più grande. Abitava una delle ultime case del paese, allora Serra finiva al Calvario ed era un’avventura per noi, bambini di Terravecchia, andarci nelle serate di freddo. Il presepio occupava uno stanzone. Illuminato a giorno, era curato in tutti I particolari: dai pastori ballerini al suono di pifferi e zampogne che si esibivano davanti al Neonato, alla grotta del “Maravigghiatu”; dalla samaritana al pastore con l’agnello sulle spalle. Ed il lago, ed il fiume con relativa cascata. Più giù l’addiaccio col pastore appoggiato al bastone e due, tre cani a far la guardia al gregge. Non mancava niente. Presente anche la donna che portava le ricotte in una sporta in bilico sulla testa e il lupo ululante. In fondo, lontano, i re Magi seguivano la stella. E quante casette sparse qua e là per i monti e le valli del presepio: tutte illuminate. Poi, ai piedi di un monte, un intero paese fatto da case grandi e piccole, da qualche palazzo illuminato più delle altre abitazioni.
Guardavamo incantati. Ci mostravamo a vicenda questo o quel personaggio, commentandolo. Ed i commenti continuavano per tutta la strada del ritorno.
Un altro presepio degno d’esser visto era quello che faceva Giuseppe Manno (Peppi lu Blonu). Meno grandioso di quello di Spinetto, questo, elaborato al piano terreno del vicolo dietro “la funtana di Cheli”, era più curato nei particolari.
Un altro, ma di questo ricordo poco o niente, lo facevano alle Case Popolari, al secondo piano.
Nelle due congreghe di Terravecchia, si esponeva la Natività con qualche personaggio. Il grande, vero presepio lo faceva Stefano, il sagrestano della Chiesa Matrice. Occupava tutta l’area della sagrestia con personaggi a grandezza d’uomo.
Mastro Beniamino Saulle, detto “lu vizzuocu” per la sua religiosità che toccava la bigotteria, era uno dei migliori maestri falegnami serresi. Il suo presepio, che mostrava solo ai pochi amici e conoscenti, rifletteva tutta la sua arte, trasmessa poi al figlio Bruno, nostro amico. I personaggi e le casette fatte di legno e lavorate in tutti i particolari, erano dei piccoli capolavori. Quello di “mastru Beniminu” non era un presepio ma un’antologia dei fatti successi venti secoli addietro. Quando spiegava il perché di questo o quel personaggio, non mancava di citare la cronologia storica dei fatti mostrati attraverso la sua opera.
Una volta, molti anni prima, per Natale, “mastru Beniminu” non fece il presepio tradizionale ma preparò, mostrandola, “La strage degli innocenti”. Pare abbia fatto un capolavoro. La gente che vide l’opera, pur constatando la buona fattura e la perfezione dei particolari, partì inorridita per la crudeltà delle scene. Sul davanti, al posto della grotta, la Fuga in Egitto: la Madonna in groppa all’ asinello e San Giuseppe avanti con la cavezza in mano.
Ci sarebbe da scrivere chissà quanto sul presepio. Anche se ne abbiamo visitati tanti, Il più bello però rimane quello che abbiamo visto da bambini.
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