Erano le otto del mattino del 23 gennaio 1963. Da qualche minuto avevo lasciato la sede centrale della Scuola Media “Chimirri” per recarmi alla succursale “Barillari” alle spalle della chiesa Matrice, dove insegnavo lettere.
Prima di varcare il corso Umberto I° ho girato lo sguardo verso il cinema “Aurora” e, in prossimità del portone della casa di fronte, ho visto un gruppo di persone in stato di agitazione. Alcune donne piangevano e si mettevano le mani nei capelli, alcuni uomini gridavano ed entravano nell’ambulatorio del dr. Zaffino per uscirne, poi, commossi e frastornati. Ho chiesto notizie: il dottore Gabriele Zaffino era morto. Giaceva disteso sul letto, cianotico in viso perché la tosse, la sua solita forte ed indistruttibile tosse lo aveva soffocato.
Anche io sono rimasto emotivamente colpito. Lo avevo visto la sera precedente dirigersi fuori paese. Era accompagnato da Zeno Vavalà, lu carcirieri, che sosteneva un ombrello per ripararsi da una pioggia torrenziale mista a neve. Il dottore indossava solo la camicia, su cui spiccavano le bretelle dei pantaloni, con le maniche rimboccate. Si dirigevano verso il carcere perché ( come ho saputo dopo) doveva visitare un detenuto che si era sentito male.
La perdita del medico Zaffino si è subito manifestata grave per tutta la popolazione di Serra San Bruno, non solo come persona buona, generosa e altruista, ma anche e principalmente per la sua attività, o meglio, per la sua missione.
Dalle colonne di questa nostra rivista Ciccio Pisani di li Guierri ha già parlato con dovizia di particolari di quest’uomo. A noi piace ancora una volta ricordarlo attraverso alcuni aneddoti che hanno disegnato più compiutamente la sua personalità.
Per assistere i suoi ammalati non osservava nessun burocratico orario, perchè le malattie, come diceva, non osservano nessun orario. Esse arrivano di giorno come di notte; al mattino come alla sera, perciò là dove c’era un malato lui era presente.
Il suo ambulatorio (in via Fiume prima, sul corso Umberto poi) era sempre aperto anche quando lui era momentaneamente assente perché impegnato in qualche visita domiciliare: d’estate finestre spalancate per prendere aria e sole, d’inverno ambiente caldo e soffocante per via di quella grande stufa “Becchi” di terracotta sempre arroventata.
Nei tempi passati l’assistenza sanitaria a Serra San Bruno era garantita da due condotte: quella di Terravecchia e quella di Spinetto a cui erano assegnati due medici. Il titolare di quella di Terravecchia era il dottore Zaffino.
Quando da noi l’attività economica era basata sull’artigianato e, quindi, anche sullo sfruttamento dei boschi, a Serra c’erano molti boscaioli (li faccieri), i quali, armati di segaccio (li struncaturi) e di scuri affilatissime e pesanti almeno due chili si recavano a piedi in montagna per abbattere gli alberi. Non c’erano mezzi di trasporto allora anche perché le strade erano semplici mulattiere o stradine adatte ai carri trainati dai buoi. Bisognava alzarsi presto, quindi, per raggiungere i boschi montani. Già prima che si vedessero le prime luci dell’alba le carovane di uomini, donne e animali da tiro si arrampicavano su per le impervie vie che conducevano sul posto di lavoro. Gli uomini abbattevano gli alberi e le donne li ripulivano dei rami che poi venivano raccolti in fasci e trasportati sulla testa protetta da curuni di stracci giù verso il paese per la vendita e per la riserva invernale.
Il dottore Zaffino era anche lui mattiniero. Addirittura si alzava dal letto verso le quattro del mattino perché doveva essere pronto a fare il medico per coloro che andavano al lavoro e avevano bisogno di qualche iniezione o disinfezione o cura delle varie ferite che quel tipo di lavoro procurava ai boscaioli. Ma non solo perché nella lista c’erano i contadini, li furgiari, e tutti gli artigiani che iniziavano la loro giornata lavorativa di buon ora.
Dopo aver caricato e acceso la stufa, metteva tre o quattro pentolini sui fornelli elettrici per sterilizzare aghi e siringhe, poi apriva il portone e faceva entrare i pazienti che dopo le cure, andavano a lavorare.
Iniziava cosi la giornata del medico Zaffino: continuava fino alle dieci curando altre categorie di ammalati (impiegati, commercianti e altri). Alle dieci del mattino era già fuori a fare le visite domiciliari. Camminava per le vie del paese con la borsa degli strumenti necessari, la sigaretta perennemente appiccicata alle labbra. La tosse non lo abbandonava mai. In quel periodo le strade erano quasi deserte; qualunque rumore veniva amplificato e la gente sentendo quei colpi di tosse diceva.”Arriva lu miedicu Zaffinu!”. Non c’era ombra di dubbio.
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