A Mastro Bruno sono state mosse alcune accuse ingiustificate: Accusa di analfabetismo: è stato dimostrato ampiamente il contrario. Accusa di ateismo (accusa in verità molto semplicistica). Tale accusa – fatta senza dubbio da chi si è fermato soltanto a qualche brano di qualche sua poesia – non è sostenuta né da una lettura accurata ed intelligente delle sue “stuori”, né da ciò che si conosce della sua vita. Mastro Bruno non solo non fu ateo, ma fu un’anima profondamente e direi delicatamente religiosa. Alla domanda: quale fu la religione di mastro Bruno, la risposta deve essere senz‘altro la seguente: mastro Bruno fu di dichiarata e manifesta religione cattolica. Una fede intrisa di religiosità popolare, se vogliamo, ma non per questo meno bella e meno sentita. Anzi. Accusa di satanismo: “ … Mastro Bruno … fa dono alla poesia dialettale di un tema inedito: il satanismo. Incompiuto e irrealizzato quanto si vuole, ma sempre satanismo”1. Tale satanismo è stato attribuito al fatto che – dopo aver scritto a Dio e ai potenti della terra (Umberto I e Vittorio Emanuele IlI) – Mastro Bruno ha scritto anche una Littira allu dimuonu. Ma la sua “lettera” è uno sfogo rabbioso contro Lucifero: e se questi viene prima invocato, in seguito viene però beffeggiato e deriso dal poeta serrese. Di satanismo, perciò, c’è ben poco. A qualcuno potrebbe venire in mente, per riflesso condizionato, 1‘112120 a Satana di Carducci (1863). La domanda che ne sorge non può essere evitata: Mastro Bruno ha conosciuto lo ha letto? Lo ha voluto imitare? Se l‘ha letto, non possiamo saperlo ma è probabile di sì; se lo ha voluto imitare, non sembra invece probabile. La Littira del Pelaggi non è un Inno o una supplica: è invece un’imprecazione continuata in versi contro Lucifero. E per fare questo, lo scalpellino serrese prende lo spunto dalla triste condizione economico-sociale di se stesso e della Calabria. Insomma, “il componimento, più che lettera al demonio, si potrebbe intitolare inno alla fortuna di Mastro Bruno”2. Invece, nell’Inno a Satana il Carducci raccoglie intorno a Lucifero, considerato simbolo del progresso, tutto ciò che di eroico, di vigoroso, di utile è apparso nella storia, tutto ciò che di vivo fermenta negli uomini. Qui abbiamo l‘esaltazione di Satana, esaltazione assente del tutto nel nostro poeta serre se (anche se il Carducci stesso, in seguito, giudicò l’inno una “volgare chitarronata“). Passiamo ora a considerare la religione in Mastro Bruno. Dalle sue poesie si ricava che conosce bene i contenuti della fede cristiana: la creazione, la confessione, il culto dei santi (Li zzuoccula di Tiresa, vv. 9-12), il culto dei morti, il giudizio universale, l‘esistenza del Paradiso e dell’Inferno, i problemi Chiesa-Stato italiano successivi al 1861. D’altra parte, non poteva essere diversamente, se è vera la notizia che da fanciullo fu affidato ad un sacerdote (don Francesco Cuteri) perché lo istruisse adeguatamente. E noi possiamo e dobbiamo pensare che il citato sacerdote, oltre a tante altre cose, gli insegnò certamente la dottrina cattolica. Gli argomenti più salienti della religione cattolica trattati da Mastro Bruno sono:
1 PASQUINO CRUPI,
Storia della letteratura calabrese, Edizioni Periferia, Cosenza 1997, val. 4, p. 229. 2 Le poesie di Mastro Bruno, a cura di Angelo Pelaia, Tipografia Fata, Catanzaro 1965, p. 45.
DIO PADRE Mastro Bruno crede nell’esistenza di Dio. Con questo Dio, conosciuto attraverso la rivelazione cristiana, Mastro Bruno ha un rapporto come di persona a persona. Il suo Dio non è un essere astratto, ma è un Tu a cui Mastro Bruno si rivolge con familiarità, che sfida ad un confronto diretto quando gli dice
Scinda pi chidha via
ca dhà ‘ncuntri a mmia
e ti dicu tuttu
(Littira allu Patritiernu, vv. 62-64)
oppure quando afferma che la sua assenza nel Paradiso gli porterà dispiacere
Ma puru ti dispiacia corchi juornu,
ca ti vuoti e non bidi a Mastru Brunu
(Tu, Signuri, cu mmia ti la … , vv. 11-12).
La concezione di un Dio-Persona è tipica della religione cristiana e solo la religione cristiana permette a Mastro Bruno di sfogarsi con Dio e di chiamarlo in causa sui mali e sulle ingiustizie del mondo (imitando, in questo, il biblico Gìobbor’. Una religione diversa da quella cristiana (quella musulmana o quella indù) non gli avrebbe concesso una simile libertà di parola o di pensiero. Questo suo modo di fare ha potuto far nascere in molti l’impressione di ateismo. Ed è invece la più alta espressione della fede. Perché tutto questo viene dalla familiarità che Mastro Bruno ha con Dio, sentito come un Padre con il quale si può ragionare e con cui ci si può anche arrabbiare, e non come un destino cieco contro cui è inutile ogni lotta. Che se qualcuno (come il Crupi) afferma che il Pelaggi “non ha fede in un Dio di giustizia?” e attribuisce a Dio le evidenti ingiustizie terrene (A cu dunasti tutto ed a cu’ nenti) è perché non è entrato in questo clima di familiarità tipico del cristiano col suo Dio. Ed è per la stessa ragione che non si può accettare l’altra affermazione del empi lì dove dice che il Dio di Mastro Bruno “è nemico dei poveri” (ibidem). Ad una lettura superficiale delle poesie del Pelaggi sembra così. Ma ci dimentichiamo che le stesse cose Mastro Bruno le dice anche ad Umberto I: eppure il re non viene chiamato nemico degli italiani, ma Arrè galantuomo e di la patria amanti. In concezione pessimista (quale appare quella pelaggiana, specie se si ricorda il verso iniziale Tu, Signuri, cu mmia ti la pigghiasti) è facile attribuire tutti i mali e le disgrazie dei poveri a Dio, per la semplice ragione che non lo si vede intervenire ad aggiustare le cose storte del mondo. Mastro Bruno è un poeta che non conosce la speranza come virtù cristiana: la sofferenza del mondo presente non è preludio, per lui (come invece per il biblico Giobbe), al premio nell’al di là: ‘Ndi fai mu ‘ndi dannàmu di jistimi e sparti puei lu ‘mpiernu ‘ndi pripari! … (Tu, Signuri, cu mmia ti la … , vv. 60-70)3. Tuttavia, ne li “stuori” di Mastro Bruno, c’è anche il senso della Provvidenza, una Provvidenza un po’ particolare subordinata quasi sempre ai bisogni terreni (il pane, la casa, la salute, il lavoro … ); e quasi “razzista”, perché Dio non avrebbe diviso in parti uguali i favori e i beni della terra.
GESÙ CRISTO Di Gesù, Mastro Bruno ricorda che amava i bambini come il poeta stesso li amò (A se stesso 39-40), che è stato tradito da Giuda e condannato da Pilato (La pigghiàta di Bregnaturi) e che è morto di una morte atroce, col compiacimento della luna che si gustava la scena:
Tu, ggià, non si ‘mparata?
Cchiù crudeli di chistu:
si tti gustasti a Cristu chi muria!
(Alla luna vv. 61-64)
3 Lo sfogo di Giobbe non è un’ aperta accusa contro le disposizioni di Dio, ma soltanto un grido di lamento per la sua triste condizione. Però, agli amici di Giobbe il suo sfogo pare empio e si preoccupano di rettificare i suoi sentimenti.
4 O.c., p. 229. La terza persona della SS. Trinità, lo Spirito Santo, non viene mai nominata da Mastro Bruno. Questo non vuole dire che Mastro Bruno non credesse nello Spirito Santo.
MARIA DI NAZARETH Ma dove il Pelaggi raggiunge la massima espressione della sua religione e della sua poesia è la preghiera alla Madonna. La poesia Alla Vergini Maria è la lirica più commovente che sia stata composta (più che composta, direi pregata) in onore della Madre di Dio. Secondo me, Alla Vergini Maria può essere messa a fianco – senza scomparire poi tanto – alla preghiera che 1’Alighieri mette in bocca a S. Bernardo nel canto XXXII del Paradiso: Vergine Madre, figlia del tuo Figlio. Senza dubbio richiama qualche lirica del Petrarca o gli Inni sacri del Manzoni (cfr) non vi sono però rispondenze letterarie, ma di sentimenti: d’altra parte sono affetti e sentimenti comuni a tutti i cattolici verso Maria. Il poeta serrese dà alla Vergine un titolo che non le è stato mai dato da nessuno: Tu si’ l’ anuri di tutti li santi – e la rigina di la poesia e con due versi la descrive (la dipinge forse sarebbe più esatto dire) come nessuno poeta ha mai saputo fare con parole più brevi e appropriate: Tri cuosi mustri tu supa a sta visu: Lu chiantu, lu silenziu e lu surrisu … La vita battagliera del poeta che ha gridato contro gli avari e le ingiustizie sociali si quieta negli ultimi versi di questo inno alla Vergini: La religione è cuomu chidha cosa duvi l‘anima stanca si riposa. La religione cristiana è il porto in cui Mastro Bruno trova finalmente la pace. Ed è bello pensare-che a-questa pace interiore ed esteriore il poeta serrese arriva proprio per mezzo della dolce figura di Maria, salutata come “Regina della pace” nelle litanie lauretane, che egli avrà certamente pregato accanto al braciere, nella sua casa dello Zaccanu, insieme con Clementina (sua moglie) e le sue figlie.