Da un fascio di carte sciolte è recentemente venuto fuori un manoscritto, databile alla seconda metà dell’Ottocento, scritto forse da un sacerdote per una predica, nel giorno dedicato a San Biagio. Il recupero pare interessante perché, con termini ormai obsoleti ma poetici, dimostra il profondo amore di un uomo per il suo paese, la sua terra natale, che descrive con affetto sincero. La terra che ha fatto germogliare i fiori della nostra culla e farà crescere i cipressi sulla nostra tomba. La terra degli avi che, pur non essendo la più ricca di prodotti e di raccolti, nutre il popolo più industrioso. E infatti, l’anonimo estensore del manoscritto offre qui, anche se velatamente, un tributo all’arte e all’artigianato che ha sempre caratterizzato la vita del paese: gli avi, i maggiori, che si erano fatti onore come “maistranza di la Serra” hanno avuto la possibilità di vivere e lavorare con i materiali che la natura poteva offrirgli, il legno dei boschi, il granito e il ferro, divenendo così principalmente grandi intagliatori, scalpellini e fabbri, un tempo famosi in tutto il regno napoletano per le loro opere, che destavano rispetto e meraviglia. Eccone il testo: «Un saluto di tenero affetto a te, o Serra, nostra cara patria; a te terra diletta, ove l’amore di Dio volle far germogliare i fiori della nostra culla, stabilire le tende del nostro pellegrinaggio, ed ove ancora farà sbocciare i funebri cipressi della nostra tomba. Oh salve, per mille volte salve. Il mio cuore a te consacra il più fervido dei palpiti suoi. E non sei tu la terra degli avi nostri? Non sono doni tuoi il sangue che scorre nelle nostre vene, l’alito che aspira il nostro petto, la luce che irradia le nostre pupille? Non sei tu la storia vivente di noi medesimi e la profezia di quanto ci lice sperare? Oh sì! Tu additandoci questi colli, questi abeti, questi tetti, queste chiese, i nostri concittadini, i nostri parenti rinnovati, le gioie della fanciullezza, le delizie del paterno cuore, le dolcezze del materno amore, tutti i benefici della nostra sacrosanta religione. Sii benedetta dunque, o nostra cara patria. E benedetta davvero tu sei perché io scorgo in te i segni sensibili della predilezione di Dio. Donde avviene infatti che non essendo tu al certo la più ubertosa e la più ricca, pur tuttavolta nutrisci un popolo numeroso e forse il più lieto e contento e incontrastabilmente il più industrioso? Donde avviene che tu sprovvista di tutto quanto costituisce nel mondo il fasto della gloria e della fortuna, pur nondimeno presenti i titoli di una fortuna più nobile, perché acquistata col frutto di onorati sudori, e decorata dell’unica e vera gloria imperitura della vita, di una fervente pietà religiosa che ispira tante virtù e tante opere degne di stima e di onoranza? Donde avviene che mentre l’ira di Dio provocata dalle colpe degli uomini scatena sulla terra gli orribili ministri della sua vendetta, tu andasti sempre esente dal furore dei castighi? Donde avviene che in mezzo alle tante prevaricazioni, ai tanti errori, scismi ed apostasie, tu in ogni incontro tieni alta la bandiera della tua fede in G. C. e nella di lui sposa diletta la C. C. Oh! Qualcuno veglia sopra di te, e ti prodigalizza i benefici del tuo fecondo amore. Qualcuno, e al certo potentissimo presso Dio, si ha assunto l’incarico di prendere sotto la sua tutela il tuo cielo, i tuoi campi, i figli tuoi. Forse un arcangelo come quello che guidava il popolo Ebreo alla terra promessa e lo difendea contro tutti i nemici. Forse qualche altro alato spirito del cielo rinnovella nei figli tuoi i prodigi di cui fu segno la casa di Tobia. Forse un nuovo Mosè tiene alzate le palme al cielo pregando per te. Forse… Ma che dico, ascoltanti? E non è forse questo il giorno solenne consacrato appunto a glorificare, a venerare, a ringraziare colui che noi tutti riconosciamo siccome il prodigioso proteggitore della Patria nostra? Oh Salve, salve dunque, o Biagio. Il tuo nome è quello che risuona tra l’armonia degli inni festivi. I tuoi innumeri benefici a noi prodigati sono la causa di tanta esultanza. Sei tu che oggi la patria nostra decanta, benedice e festeggia riconoscendo in te il suo Angelo tutelare, il suo potente difensore, il suo padre amoroso. E tale io ti saluto o Biagio, con la voce di otto secoli che ricordano la storia del tuo patrocinio per noi. Tale io ti decanto con gli accenti votivi di tutti questi miei concittadini che fanno eco alle tradizioni dei nostri maggiori. Tale ti festeggio con il concerto degli inni che ti tributano ancora questo cielo, questi monti, questi abeti. Sì, o signori. E perché tutto il mondo sappia che questo nostro entusiasmo è lo effetto spontaneo della nostra fede, dei nostri più sentiti affetti e dei più doverosi sentimenti, è mia intenzione quest’oggi ricordare a noi stessi da una parte tutta la grandezza estraordinaria delle ragioni per cui San Biagio merita presso Dio di essere nostro potentissimo proteggitore, e in pari tempo quali debbono essere i titoli dei nostri diritti per meritare da lui la sovrabbondanza, la continuazione dei frutti del suo potente patrocinio».
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