Per i successivi quattrocento anni, a partire dalla seconda metà dell’anno mille il feudo di Arena si accrebbe di ulteriori possedimenti fino a diventare una entità statuale nel centro della Calabria, compresa su un territorio di un’ampia fascia longitudinale dal golfo di Gioia sul Tirreno a Stilo sullo Ionio
Ma la storiografia inerente all’incastellamento sul colle di Arena e all’avvicendamento dei primi signori feudali non offre dati inequivocabili, che diversamente avrebbero potuto costituire la diacronia storica di quel periodo di “pieno medioevo”.
A favorire questo danno sono state la distruzione di moltissimi documenti in conseguenza delle calamità naturali e la loro dispersione per incuranza dei custodi in loco.
Così, oggi può apparire che la storia del borgo di Arena debba incominciare dai primi anni del XIII secolo, mentre per ciò che riguarda il tempo di prima si possono recitare solo “favelle” ricavate da una miscellanea di scarse pagine di autori tra il XVII e XVIII sec. e già lontani dall’epoca del medioevo calabrese.
Del castello di Arena scriveva il D. Francesco Natoli, nell’edizione bolognese del 1654, alle prime pagg. 8-9 del suo “Delle Gratie e Miracoli Operati dall’Apostolo dell’Indie S. Francesco Saverio In Potami Terra di Calabria”: <<… Al divoto lettore… egli è a sapersi, che nella Provincia della Calabria superiore bagnata dal Mar di ponente giace la Terra d’Arena, antichissimo Stato de’ Signori Conclubett, i quali da settecento anni per filo de’ primogeniti la possedettero prima con titolo di Conte, poi di Marchese. Il primo di famiglia sì chiara, che dalla Germania venisse nel Regno non ancora fondato, fu Evandolo Cavaliere discendente dal Serenissimo sangue della Sassonia, che con suo fratello onorò le feste nella coronazione di Ruggero primo Re di Napoli. L’albero della loro Genealogia è diramato con nobilissime parentele ne’ Casati più ragguardevoli. (..) Il territorio d’Arena fu abitato anticamente da greci, conservandone oggi giorno molte voci nella paesana favella(…) la natura con prodigalità l’arricchisce d’ogni genere di frutta e le sue montagne non sono sterili, ma coltivate, si divide in più Casali …>>.
A pag. 79 da il “Monastero di S. Pietrp Spina di Ciano”, Pasquale del Giudice riporta una parte di testo “Della renitenza de’ Vassalli di prendere gli affitti de’ Territori…”: <<tutto il tenimento, che ha composto, e compone la stato Arena e Soreto, nel tempo dei normanni era una sola Foresta con un castello, per Regia abitazione. Di questa… fu investita la famiglia d’Arenis e li Villani … non ebbero, se non una condizione molto vile, abjetta, e servile…più che altrove pesante ed in felicissima…>>
Anche si trascrive parte di una pagina “Della Calabria Illustrata”, opera pubblicata postuma 1691 (M.DC.XCI) – XCIII.ARENA, del R.P. Giovanni Fiore da Cropani (1622-1683) si trascrive: <<…Che non saprei se dato avesse, o pure ricevuto dal nome da’ suoi antichissimi Marchesi, co’ la la nominanza di Conclubet. Ella era terra molto nobile col vassallaggio di molte Abitazioni: cioè Dasà, Acquaro, Segnatone, Limpide, Brazzaria, Potamia, Meliano, Ierocarne, e Ciano… che tutti insieme popolano la Calabria in novecentonovanta fuochi… >>
Eppure sembra difficile immaginare quei primi normanni che già dal 1060 passarono per questi luoghi di Arena e che scelsero lo sperone più alto del colle per edificarvi sulla radura il loro castello con caratteristica così importante, da cui oggi ugualmente ad allora spicca la vista con estesa circolarità verso le lontananze dell’orizzonte tirrenico, ritornando ai crinali boscosi delle pre-Serre, che dai sommi profili si incordano a scendere nell’ombra di fondi valloni.
Dal sorgere del castello in quel tempo di pieno medioevo, la scarsa storiografia vuole che i signori di Arena furono gli Scullando e che successivamente dagli inizi del 1200 circa, presero la definitiva denominazione di Culchebret-Concublet.
Questo ci porta ad argomentare con il dubbio se i Conclubet fossero dello stesso casato degli Scullando, in mancanza di una precisa e concorde esplicazione storiografica su tali denominazioni così dissomiglianti, che non ammettono alcuna possibile traslitterazione, …cioè per quel metodo di riprodurre graficamente e foneticamente i segni originali di una lingua antica con segni analoghi di una lingua diversa.
Di fatto gli Scullando esistettero ad Arena, fino al 10 dicembre del 1198, quando nel proprio testamento di “morte per il mondo e di rinuncia agli averi e ad ogni titolo”, don Giovanni de Arenis devastato dalla lebbra si dichiarava figlio del defunto Riccardo Scullando e di donna Clemenza, fratello di don Matteo e di donna Lucia, parente altresì di don Guglielmo di Amendolea, feudo dell’area ionico-grecanica, oggi rimasto borgo di Condofuri: <<…Perciò io Giovanni, signore della terra di Aieta, figlio del defunto signore Riccardo Scullandi… lascio la mia terra alla signora mia madre donna Clemenza, perché l’abbia sotto tutela ed amministrazione per il nostro parente don Gugliemo di Amendolea… Inoltre, dell’altra terra metà la ceda per la dote di mia moglie, l’altra metà l’abbia mio fratello don Matteo… lascio 3000.000 tarì, perché faccia sposare mia sorella donna Lucia…>>, dal libro di Pasquale del Giudice “Il Monastero di San Pietro Spina” per quanto riportato nel “Syllabus graecarum membranarum”
Anche dopo la miracolosa guarigione dalla lebbra don Giovanni de Arenis, nel suo atto di donazione votiva al Monastero di San Pietro Spina di Ciano del febbraio 1200, quarta indizione (il 4°giorno?), ancora si sottoscriveva Scullando e dichiarava in forma di plurale maiestatis: <<… Noi Giovanni Scullando, figlio del fu signor Riccardo Signore delle Arene, a tenere della presente scrittura… promettiamo al sopradetto Monastero di San Pietro de Spano di fare la retroscritta grazia e concedere la libertà di quegli Apostoli…>> dal libro di Pasquale del Giudice “Il Monastero di San Pietro Spina.
Si riporta a degno di nota che nel summenzionato “testamento di morte per il mondo”, don Giovanni de Arenis si dichiarava Scullando e anche signore di Aieta, per far ritenere che i signori Scullando di Arena potevano anche essere Signori di Aieta o comunque pretendere dei diritti di privilegio anche su quel feudo.
Diventa doveroso qui menzionare che Aieta oggi è un borgo medioevale nei pressi di Praia a Mare (Cs) e che le sue origini si datano all’ XI secolo, quando la casata Scullando lì fu la prima ad insignorirsi, come avvenne nel feudo di Arena.
Biagio Cappelli, insigne ricercatore culturale sulla Calabria medievale ed autore di molte opere nel campo storiografico-artistico (Morano,1900-Castrovillari,1991), studiava alcune carte di Aieta del 1061, 1114 e del 1122, in cui un dignitario normanno Rogkerius Scelland(i) avrebbe assunto in seguito la denominazione di Scullando e ricavando da una carta greca del 1171 “Archivio Storico per la Calabria e la Lucania, a XII-1942, pp 211-216 “ che a quel tempo Ruggero, Giovanni e Matteo Scullando erano Signori di Aieta
Aieta passò però a Roberto de Giffone intorno al 1246, forse proprio a causa di una congiura dei baroni, che Federico II di ritorno dalla sua stagione di caccia a Grosseto fronteggiò giustiziando alcuni di essi e revocando i privilegi feudali a molti altri. –
Anche quando Re Carlo I d’Angiò invase il Regno di Napoli, la Contea d’Arena fu confiscata ai Conclubet nel 1269, perché Riccardo era stato fedelissimo al re Manfredi di Svevia che lo aveva nominato suo Gran Giustiziere di Sicilia; solo trent’anni dopo gli fu restituita.
Anche per questo, Pasquale del Giudice Trascrive in “ibidem” testo in parte di : << Un altro documento non meno specioso se ne ha in una lettera, o sia Cedola del Re Carlo I. d’Angiò dell’anno 1273. Nel qual tempo questo nuovo Principe, avendo già privato dello Stato Riccardo d’Arena, che aveva voluto continuare nel partito de’ Svevi, scrisse a Paolo di Botonto Mastro Portolano di Calabria, e Procuratore del Contado di Arena, che si era ricevuto l’inventario pubblico…>>
Quanto detto sopra, ci dimostra come in quel periodo i Signori feudatari si reggevano su precari vincoli vassallatici, così che anche il passaggio del feudo da un clan familiare all’altro era come il gioco delle tre carte.
E per di più non era insolito che i rozzi Signori di rango minore, pur di guadagnarsi privilegi e feudi millantassero nobili ascendenze ovvero se le facessero attribuire attraverso storiografie di favore o con false pergamene; anche dichiarandosi di essere figlio bastardo di regale discendenza, che a quei tempi valeva come lignaggio collaterale e non di emarginante condizione.
Proprio nella congiuntura storica dal 1194 (giuramento di fedeltà ad Enrico VI di Svevia) al 1250 (morte di Federico II di Svevia) avvenne il cambio di denominazione dei Signori d’Arena, da Scullando a Culchebert o Conclubet e mi chiedo quanto i Culchebret d’Arena fossero stati normanni o quanto si sentissero di più tedeschi …
Si definirono Scullando per tutta l’epoca dominata dai veri normanni Altavilla, originari di “Hauteville la Guiscard”, nella penisola francese del Cotentin dell’attuale Normandia, ma l’epoca normanna terminò con la morte dell’ultimo re normanno Guglielmo II d’Altavilla nel 1189.
Il più accreditato storico, genealogista e araldista italiano Giovan Battista di Crollalanza (1819-1892), nel suo “Dizionario Storico Blasonico delle Famiglie Nobili Italiane Estinte e fiorenti” del 1886, registra : << CONCLUBET di Napoli, di origine normanna, discese da un Ruggero figlio naturale del Conte Ruggero. Il primo era anche fratello di Ruggero I re di Sicilia, alla di cui solenne incoronazione avvenuta in Palermo nel 1129 (1130) intervenne, insieme al figlio Guglielmo. Fin da quel tempo la famiglia Conclubet ebbe in feudo la contea di Arena e i suoi casali… ; terra eretta in marchesato a favore di Giovan Francesco d’Arena dall’Imperatore Carlo V. Arma (blasone): a quattro fascie d’argento; lo scudo accollato ad un’aquila bicipite di nero, ciascuna testa coronata d’oro>>, qui non si da nome agli Scullando!
Ma già prima di G.B.Crollalanza, anche il nostro certosino Dom Benedetto Tromby di Monteleone (oggi Vibo Valentia, 1710-1788), scriveva per lunga pagina la biografia dei Culchebert/Conlclubet di Arena, nella sua monumentale opera “Storia Critico-Cronologica Diplomatica del Patriarca S. Brunone, e del suo ordine Cartusiano” compiuta in ritiro a Napoli, durante 8 anni di studio e di discernimento su di una grande quantità di dati e documenti raccolti da fonti originali, accreditati e attendibili.
L’opera pubblicata a Napoli nel 1779 e suggellata con onorificenza da Papa Pio VI, risulta, come non può essere diversamente, una fonte qualificata di ricerca da cui personalmente ne ho attinto alcune parti ritenendole necessarie per l’impianto di questo “racconto” sui Culchebret di Arena.
A dire il vero la lettura di queste parti è stata impegnativa su lessico e sintassi, effusi in stile di tardo seicento dall’Autore, versato al lavoro incessante di insigne studioso classicista e di infaticabile ricercatore di vastissima erudizione.
(Verificare nuovamente) a pagina 139, il Tromby cita il canonico Scipione Ammirato, un altro storico e letterato toscano del secolo ancora precedente 1600, il quale nel proprio libro 2, cap.12 di ”Famiglie del Regno di Napoli” registrava come capostipiti del casato Conclubet e signori della terra d’Arena dal 1206, Matteo e Gio. d’Arena (Giovanni, il nipote di Matteo d’Arena?), proseguendo che : <<La medesima avendo trovato che nel suo proprio antico stemma si valeva la città di Conclubet nel ducato di Baviera, perciò sdegnando di nominarsi d’Arena, cominciò a denominarsi Arena Conclubet, stimando cosa vile d’avere origine da Regni d’Italia, e volle piuttosto trarre il suo onore da’ Regni stranieri… Sicché detto nome di Conclubet altro non dinota che la propria città di Germania, onde pretende esser venuta la detta famiglia d’Arena …>> – Così il vibonese Tromby, dal ricavato studio del libro di Scipione Ammirato, non smentisce che i Conclubet potevano essere la continuità familiare degli Scullando nei precedenti 120 anni –
Sempre a proseguire sulla stessa pag. 139 del suo “ibidem”, il Tromby espone la sua “digressione”: << giovami sperare, che non farà per giungere in discaro (sgradito) al pubblico la digression, che qui stam per fare,… come or or diremo… La chiara, e reputata assai famiglia Culchebret, che così si deve scrivere e non come altri corrottamente fanno, Conclubet, ebbe sua primaria origine in Germania dalla serenissima casa de’ Duchi di Sassonia. Rende testimonianza intorno a tale particolarità Papa Urbano II in una sua Bolla fatta ad Alduino e Giovanni figli d’Ugolino Culchebret nel passaggio [1096 circa, alla…] conquista di Terra Santa… Così anche Guglielmo I Re di Napoli in un suo diploma conceduto a pro di Riccardo Conte d’Arena nell’anno 1156… >>
Ma, per ricavare una tesi ancora più attendibile, secondo cui i Culchebret/Conclubet di Arena fossero stati gli stessi Scullando, si continua sulla identica pagina del Tromby, in cui narra di un certo “Evandolo Culchebret”, cadetto della casata dei duchi di Sassonia: <<…Quindi Evandolo Culchebret trapiantolla [la propria Casata] in Inghilterra fin da circa l’anno del S. 978 a’ tempi di S. Edoardo II…>>, il quale seguì la tradizione migratoria di molti clan germanici verso le terre d’Inghilterra-Scozia, per cui Evandolo avrebbe acquisito successivamente in Italia anche il soprannome di “Scullando”.
E infatti, dopo 32 anni di proficua permanenza in Inghilterra-Scozia, Evandolo: <<non si sa per quale congiuntura passò in Napoli intorno all’anno 1010…>> (forse per inseguire una propria attitudine agli affari diplomatici o commerciali), e approdò Napoli, come dignitario nel 1010 circa, nella circostanza di tempo in cui il duca di Baviera e re di Germania Enrico II il Santo, dopo che era già disceso in Italia nel 1004 per farsi re a Pavia, nel 1014 veniva incoronato Imperatore del Sacro Romano Impero a Roma da papa Benedetto VIII.
Evandolo perciò giunse a Napoli nel periodo quando gli Altavilla e i Drengot, fra tutti gli accomunati “normanni” provenienti dalle diverse regioni del nord Europa, erano ancora degli indomiti manipoli di mercenari e saccheggiatori che cercavano padroni nell’Italia meridionale.
Sempre alla stessa pagina dell’opera ibidem del Tromby, si legge che Evandolo Culchebret alla sua morte (in data incerta, ma dopo il 1030) lascia tre figli, Ugolino, Guglielmo e Ruggero detto il Bastardo, quando gli ultimi principi longobardi Guaimario III di Salerno (+1027circa) e Pandolfo IV Duca di Benevento e Capua (+1049) terminavano il loro ciclo storico sotto l’affermarsi della politica imperiale tedesca, in cui i normanni Altavilla e Drengot diventavano protagonisti delle conquiste sul disfacimento dei principati bizantini e longobardi.
Nel frattempo, dal 1035 circa, i fratelli Culchebret, Ugolino, Guglielmo e Ruggero diventarono fedeli compagni d’arme dei fratelli Roberto e Ruggero d’ Altavilla: <<…strinsero con esso loro i tre figlioli d’Evandolo, una vera, e soda amicizia…>>.
E i gli Scullando-Culchebret resteranno fedelissimi agli Altavilla per tutto il periodo della conquista dei ducati di Puglia, Calabria e infine della Sicilia.
Dalla politica imperiale Però gli opportunisti Altavilla opportunisti fino all’audacia, dalla politica imperiale si indirizzano, dopo il concordato di Melfi 1059, verso la politica papale che prometteva loro un titolo di regnante sulle terre conquistate.
Invece il fratello maggiore Ugolino Culchebret, nel 1170 entra allora nelle grazie dell’Imperatore Enrico IV che, in quel corso d’inizio per la “Lotta per le investiture”, volle insignirlo del rango di Conte Palatino, con la franchigia di non essere giudicato da alcun tribunale se non direttamente dall’Imperatore e <<…coll’autorità di battere moneta, di legittimare, e con tutti gli altri Privilegi che si soglino dare a simili dignitari… come si vede nel Privilegio che si conserva in Montecas(s)ino>>. Sempre il Tromby.
Nel 1085 muore Roberto il Guiscardo, a Lixouri (Grecia) che fu duca per legittimazione papale di Puglia e di Calabria.
Allora gli succede a pieno titolo il fratello Gran Conte Ruggero di Mileto, il quale avrà ora egli stesso l’autorità di poter dare ufficiali investiture vassallatiche ai tre Culchebret, assegnando a Ugolino e Guglielmo Signorie e prestigiosi incarichi fiduciari presso la propria corte militense mentre a Ruggero assegnerà il feudo di Arena con altre Signorie nella Calabria Ultra.
Scrive infatti il Tromby che nel 1097 il Gran Conte Ruggero di Sicilia e di Calabria fu insieme ai sopradetti fratelli Culchebret nell’assedio di Capua e che nel diploma di Privilegio a favore di San Brunone del 7 maggio 1093, Guglielmo e Ruggero Culchebret fanno da testimoni sottoscrittori della donazione.
Possiamo allora arguire che dal 1085 inizierebbe la “prosapia” dei Culchebert come signori di Arena, i quali fino al 1200 si facevano soprannominare anche Scullandi per evocare il loro capostipite Evandolo che era giunto a Napoli dalla Scozia, scozzese = scottish = scolland.
Degli Scullando-Culchebret di Arena che come altrove quegli uomini del nord costruirono e dominarono dai loro castelli, non si estesero sul territorio per creare le proprie città ed affini entità sociali, perché di fatto erano cadetti delle più dissimili stirpi del nord Europa, denominati in comune come Normanni, che ai primi arrivi nell’Italia meridionale si erano posti alla mercé di ritrovati padroni o in cerca di un feudo per se stessi.
Per tutto il periodo dei 170 anni di dominazione nel meridione d’Italia, i pochi Normanni furono costretti ad arruolare milizie fra le disparate etnie preesistenti sul territorio e a donare incarichi prestigiosi per l’organizzazione del nuovo regno sia bizantini che longobardi ed arabi, tra quelli più istruiti ed esperti, ma non ebbero il tempo forse e mai entrarono in osmosi culturale con essi.
Allo stesso tempo, per mantenere incontaminata la propria casta di nobili e cavalieri e per tenere sotto controllo la fedeltà dei baroni (meglio pochi e affidabili), i normanni costituirono un ordinamento feudale a ranghi imparentati fra di loro, che non permetteva agli indigeni locali di fare connubi e di procreare discendenze legittime con i feudatari per non entrare nelle loro successioni ereditarie.
Perciò, il loro patrimonio genetico non si arricchì e non si congiunse con quello italico, declinando in breve tempo e prosciugando la stirpe normanna dopo la fine della breve epoca federiciana.
Così, non lasciarono impresso un linguaggio di lettere e di arti rappresentative, compensando tuttavia con l’edificazione dei castelli, che per tutto l’XI secolo offrì idea per sviluppo materiale dell’architettura basilicale e monasteriale che marcava quelle estetiche di transito dal massivo romanico all’elevazione gotica, attraversando una dubbia arte di connubio “arabo-normanna” del XIII secolo.
Nell’Italia meridionale ed particolare in Sicilia la cosiddetta arte “arabo normanna” si sovrapponeva senza prevalenza di originalità dell’una o dell’altra su quelle ormai deposte architetture bizantina e araba.
Come s’è già detto prima, i Normanni erano cavalieri audaci e impavidi, che per dimostrarsi tali ed incontrastabili, importavano l’originalità della sorprendente cavalleria pesante, equivalente all’evoluzione di un odierno squadrone corazzato di sfondamento.
Quella cavalleria normanna fu l’arma di dominio nelle vittorie di conquista dell’Italia meridionale e nelle battaglie nell’Oriente bizantino, di cui se ne ravvisano riferimenti nel poema “Alessiade”, della porfirogenita bizantina Anna Comnena (1083-1153), per la biografia del padre l’imperatore Alessio I Comneno.
La Principessa Anna offre suggestive descrizioni degli uomini e delle strategie in campo, del loro impeto combattivo a terra e a cavallo, con riferimento anche sul nemico Roberto il Guiscardo e della moglie longobarda Sichelgaita… –
Ritornando a supporre, da altra prospettiva, sulle motivazioni che portarono gli Scullando a denominarsi Conclubet dal 1206, ricordiamo nuovamente che nell’autunno del 1194, a Troia i feudatari vassalli degli Altavilla, tra cui è pensabile che ci fossero anche gli Scullando di Arena, dovettero prestare giuramento di fedeltà all’imperatore svevo Enrico VI Hohenstaufen, che a natale dello stesso anno veniva incoronato re di Sicilia insieme alla moglie Costanza d’Altavilla.
Ciò fa pensare che i signori d’Arena per vera probabilità con il nome Scullando intendevano evocare la tradizionale fedeltà alla stirpe Altavilla, dalla quale peraltro si attribuivano una discendenza di consanguineità attraverso il proprio capostipite figlio illegittimo del Gran Conte Ruggero d’Altavilla, come registrava il Crollalanza: <<Conclubet…, discese da un Ruggero figlio naturale del Conte Ruggero. Il primo era anche fratello di Ruggero I re di Sicilia*>> (* si intenda per Ruggero II, primo re di Sicilia).
Ma dal 1194, dal costretto giuramento di fedeltà all’Imperatore svevo, gli Scullando alla luce dei nuovi tempi vollero farsi riconoscere una antica discendenza dalla stirpe sassone, originaria da una sconosciuta località di Culchebret, per confermare una concreta fedeltà al re di Germania imperatore e re di Sicilia Enrico VI Hohenstaufen, anche perché lo stesso Regno dell’Italia meridionale entrava in tutto a far parte del Sacro Romano Impero, in “Unio regni ad Imperium”.
Solo che quella fusione del Regno normanno all’Impero non era però ben vista dal Papa, il quale pretendeva di imporre sull’Italia centro-meridionale il proprio diritto di vassallaggio derivante dall’accordo di Melfi del 1059 sancito con Roberto d’Altavilla, al quale gli veniva conferita la nomina ducale per la Puglia, la Calabria e per la Sicilia ancora da conquistare e latinizzare.
Contrariamente, l’mperatore Enrico VI rivendicava invece di riconquistare tutta l’Italia in quanto egli era il legittimo successore di Carlo Magno, Imperatore del Sacro Romano Impero.
Il contrasto politico si risolverà dopo la morte di Enrico VI, quando suo figlio Federico Ruggero II pur ancora minorenne, il 17 maggio del 1198 verrà incoronato re di Sicilia dal papa Innocenzo III re di Sicilia; e sarà poi nel 1211 che Federico II verrà anche eletto Re dei romani dai principi tedeschi ed il 25 luglio di quattro anni dopo incoronato Imperatore del Sacro Romano Impero, ad Aquisgrana.
Però con la morte di Federico II nel 1250, tramonta definitivamente l’epoca dei Normanni in Italia ed in Calabria, così che anche il feudo di Arena seguirà le sorti delle due successive dinastie, Angioina e Aragonese.
Quel giglio angioino resterà impresso nel feudo di Arena, che si scopre ancora oggi sui residui sarcofagi di alcuni nobili De Arenis, nella cappella Sirica-Crispo dell’odierna Chiesa del Ss. Rosario a Vibo Valentia, fino alla definitiva cacciata da Napoli di Renato d’Angiò nel 1442 per opera di Alfonso d’Aragona duca di Calabria, il quale avendo unito il regno di Sicilia con il regno di Napoli assumerà il titolo di Alfonso I Rex Utriusque Sicilia (Alfonso I re delle due Sicilie), soprannominato da alcuna storiografia anche “Magnanimo”.
Nel 1503 i francesi furono sconfitti nel Mezzogiorno d’Italia dagli spagnoli che occupavano la Calabria e la Puglia, così i regni di Sicilia e di Napoli passeranno sotto il dominio dell’imperatore Carlo V, che li governerà per mezzo dei suoi Vicerè fino al 1713.
Alla fine della guerra di successione spagnola e dal Trattato di Vienna del 1738 si assegna a Carlo di Borbone, ramo cadetto dei Borbone di Spagna, i regni di Napoli e Sicilia.
Da allora si arriva al secolo cruciale del 1806 che segna la fine del feudalesimo ereditato dal regno Normanno del 1130, perché con la legge del 2 agosto 1806 n. 130, promulgata dal re di Napoli Giuseppe Bonaparte (leggi eversive o di eversione della feudalità), verrà abolita per sempre la feudalità nel Regno di Napoli
Così nella terra d’Arena, la giurisdizione marchesale degli ultimi Caracciolo con tutti i suoi beni feudali e le annesse rendite, passeranno alla sovranità del Regno.
Il castello già in rovina dall’ultimo terremoto del 1783 diverrà un’effige di storia, senza dover più intimorire.
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