“Io Serra ce l’ho qua” mi dice portandosi la mano sul cuore e subito si commuove mentre la mente affonda nella memoria. Il prof. Bruno Parise, di anni 91, già insegnante di Lettere alla Scuola Media, figlio di donna Carlotta Tedeschi, appartenente a una antica distinta famiglia serrese, vive la sua fase di riposo della vecchiaia in un’atmosfera imprevista di malinconia per la perdita recente della cara moglie.
Lo incontro in casa e credo che dovrò tornare ancora, per ricostruire e memorizzare con attendibilità adeguata i suoi ricordi. La sua abitazione è uno dei palazzi antichi del paese con il portale in granito e gli interni richiamano gli ampi ambienti nobili di una volta, con mobili d’epoca, fotografie di familiari, stampe e quadri significativi: vedo con sorpresa tre disegni a carboncino di Vinicio e un dipinto di Sharo Gambino, riconosco due foto, ritoccate a dipinto su tela, che erano una particolare espressività di Peppe Calabretta di Nardu, valente fotografo fino agli anni 70, grande amico pure di mio padre e della mia famiglia.
Con la sua caratteristica voce rauca (non saprei definirla diversamente) lo ricordo da sempre, ma non essendo io vissuto a Sant’Andrea se non in vacanza nei mesi estivi, la mia relazione con lui, quando lo incontravo nel suo passeggio al “Pian Castello”, era limitata a un breve saluto cordiale, con un immancabile riferimento nostalgico “alla Serra” e a personaggi di comune conoscenza.
Mentre parliamo, il richiamo alla solitudine, che lo affligge al momento, si alterna alla voglia di ricordare le persone più care che nel corso degli anni giovanili ha frequentato a Serra. E così vengono fuori dalla sua memoria, in ordine sparso, Tony Poletto, Sharo e Vinicio Gambino, i fratelli De Stefano, in particolare il coetaneo Umberto, i giudici Jerace e Scrivo, i presidi Giannelli e Pisani, il provveditore Tucci, i direttori scolastici Ariganello e Mario Ruffa, Lino Amato, Gabriele Zaffino, i medici Zaffino, Barillari, Carchidi e Palermo, gli avvocati Salerno e Pisani, i farmacisti Jellamo e Cordiano, i tre fratelli Di Bianco, il salesiano don Gaetano Scrivo, Ciccio Scoppetta, infine Fiorindo, Angelo Pelaia, Amato e Bosco, titolari di rinomati bar. Il nome, però, che più di tutti gli procura ripetutamente una forte commozione è quello di Carlo De Blasio, con cui ebbe un rapporto più che fraterno. Devo confessare che l’ho aiutato nel richiamo di questi non pochi nomi, intuendo bene quali potessero essere le persone di Serra che all’epoca era solito incontrare, ma è sicuro che ne sono sfuggiti dal ricordo molti altri.
Tra i familiari della mamma donna Carlotta, il legame affettivo lo aveva soprattutto con la zia donna Letizia, che abitava di lato alla chiesa dell’Addolorata ed era nota a tutti i parrocchiani di Terravecchia come devota “monaca di casa” o “bizzoca”, e con don Giovannino, amorevole salesiano. Altri familiari erano lo zio Nicola, colonnello medico a Bologna, e le zie Pina, Vittoria e Michelina, trasferitesi al Nord; inoltre, i cugini Lalla e Azaria Tedeschi, radiologo al Policlinico di Roma. Ricorda bene, anche, nelle vicinanze della casa di zia Letizia, un prete non serrese, don Giuseppe Maria Barbieri.
Il prof. Bruno è nato a Serra San Bruno nel 1928, ma dopo poco tempo la famiglia si era trasferita a Sant’Andrea; il papà, però, morì dopo poco tempo, purtroppo senza lasciare in lui alcun ricordo. Nello stesso palazzo c’era allora il fratello del padre, lo zio Bruno, che era medico di famiglia nel paese.
Credo di essere entrato almeno una volta da bambino, negli anni ‘50, nella nobile casa che tutti sapevamo di “donna Carlotta”. E tutti nel paese conoscevamo anche Rosa, efficiente donna di servizio e di compagnia.
Il legame con Serra la famiglia continuò a mantenerlo costantemente in estate per la cosiddetta villeggiatura, dimorando presso la zia Letizia, perciò il professore parla correttamente e orgogliosamente il dialetto serrese.
Egli, quindi, conserva con molta nostalgia i ricordi di Serra frequentata da ragazzo e da giovane, con l’incontro estivo degli amici rievocati prima.
Tra i passatempi non dimentica certo i pomeriggi e le serate passate con loro al tavolo verde del Circolo Unione in piazza S. Giovanni che, mi pare, esiste ancora con altre frequentazioni.
Altro suo passatempo era la caccia, vittime preferite la beccaccia e i tordi.
Mi racconta di un incidente stradale avvenuto sul rettifilo nei pressi della segheria De Stefano quando, di ritorno da una cena, la macchina in cui si trovava con tre amici, forse abbagliata sbandò, andando fuori strada e investendo mortalmente una donna; lui non era alla guida, comunque trascorse la notte in caserma interrogato dai Carabinieri. Qualcuno degli amici, però, si era presto dileguato.
Quando era all’Università di Genova conobbe Marfisa, di Asti, che sarebbe diventata sua moglie, anche lei in seguito insegnante elementare. Dopo il matrimonio nella città piemontese, la famiglia si stabilì in Calabria.
La sua vita a Sant’Andrea si svolgeva tra l’impegno scolastico e quello politico locale; fu anche vicesindaco. Il suo rapporto con Serra rimase abbastanza costante.
Un aneddoto di qualche anno fa, che ricorda con piacere, riguarda l’incontro con Rosa “di la Malerva” quando, entrando nel suo negozio di pasticceria per acquistare li giamberletti, inaspettatamente fu riconosciuto dalla cordiale signora: “Mala nova, mala nova, non siti Brunu, lu niputi di donna Letizia?”
Menziona la Chiesa dell’Addolorata come la più bella di Serra e non si sbaglia di certo.
Ricorda un particolare che non è di mia conoscenza: nel percorso tra la Certosa e S. Maria ci sarebbe un punto dove si sente bene l’eco.
I ricordi si affollano tutti simultaneamente nella mente e la commozione finisce più volte per interrompere il suo racconto. E allora gli occhi diventano lucidi, vanno nel vuoto e lui si rifugia nelle parole fatidiche: “Questa solitudine mi fa male!”
Mi fa tenerezza la sua voglia di dialogare, mi fa promettere che lo andrò a trovare ancora, uscendo insieme in macchina nei dintorni o, magari, proprio verso la Serra.
Gli lascio alcuni numeri della Rivista in cui ci sono miei articoli, ma lui è attratto subito da una foto di “Lu presidi” Pisani, a margine dell’articolo di Ciccio Pisani di li Guierri a lui dedicato.
Mi accompagna verso la porta di casa non senza mostrarmi il suo studio pieno di libri, fotografie familiari e stampe antiche; tra esse noto un piccolo ritratto di mons. Bruno Maria Tedeschi, un serrese che fu Arcivescovo di Rossano (1835-1843).
Sulla scrivania mi addita, quasi con noncuranza, numerosi scontrini della farmacia: è inevitabile che anche i farmaci debbano tentare di alleviare le sue sofferenze.
Da un cassetto tira fuori un astuccio pieno di pennini di ogni forma, che si usavano a scuola fino agli anni ‘50: mi obbliga a prenderne per ricordo almeno tre.
Il mio sguardo vaga curioso in ogni angolo dello studio, ma si posa, infine, sul pavimento dove, sotto alcune sedie antiche, tanti mucchietti di polvere rossastra sono segno di tarli molto attivi, la vita che se ne va nel tormento…
Non mi resta che stare vicino a questo anziano professore, il quale ha fatto del suo insegnamento una passione, che ha arricchito non solo la sua vita, ma anche quella di chi lo ha seguito a scuola e fuori. Chi a Serra lo ricorda ancora potrebbe scrivere qualcosa.
Tocca provare a riempire il vuoto di una solitudine…
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