Gina era febbricitante, immobile e muta, sotto la pesante coperta di lana, distesa sul materasso imbottito di foglie di granturco.
Le metteva un pò d’acqua sulla fronte, un po’ sulle labbra mentre lei pronunciava parole incomprensibili, sconclu-sionate.
Nedha le domandava come stava, cercava di rianimarla.
Gina litigava spesso con il marito, anche violentemente e fisicamente, e spesso succedeva che avesse delle crisi nervose e si mettesse a letto, però quella volta era una co-sa ben diversa, non era stato un litigio a ridurla così ma una forma di paralisi improvvisa, inspiegabile.
Continuava a fargli domande alle quali non rispondeva se non con mugugni e gesti sconnessi.
Nedha si mise lo scialle sulle spalle, doveva chiedere aiuto a qualcuno.
« Fermati!» .
Si girò e vide la zia seduta sul letto, che la guardava con due occhi spalancati e confusi.
« Vieni qui, non andare! ».
La voce era rauca, come quella di un fumatore accanito con le corde vocali atrofizzate dalla nicotina.
Aveva lo sguardo fisso alla parete, muoveva appena le labbra, e con la mano si teneva il collo, premeva forte sul-la gola.
« Cos’hai? che hai alla gola? »
« Sono tornato per una questione lasciata in sospeso… »
« Tornato? come tornato? devi avere la febbre alta, deli-ri… »
La mano stringeva sempre più forte, come a tamponare una ferita, il rantolo era quello di un animale in fin di vita.
« Mi manca l’Ave Maria di mio figlio »
« Ma che farnetichi? Quale figlio? »
« Mio figlio non mi ha detto l’ave Maria né l’eterno ripo-so…»
« Ma che dici? quale figlio? Quale Ave Maria! sdraia-ti ora, non agitarti, ti preparo una camomilla…»
« Vai a chiamare tuo zio Bruno, ‘‘lu Nigaru’’, deve dirmi l’Ave Maria che non mi ha detto ».
Rabbrividì, non era preparata a tutto quello che stava succedendo, se n’era parlato spesso a casa di quella tragi-ca vicenda, si sentiva legata a quella storia da un legame di sangue indissolubile, ma mai avrebbe pensato…
Si avviò tra rovi e viottoli di campagna, al buio, cercando una giustificazione plausibile per svegliare ‘’Lu Nigaru’’ e condurlo a casa di Gina, dove stava succedendo qualcosa di inaspettato.
Non era uno facile, era piuttosto burbero, provava un po’ di timore a svegliarlo, ma non aveva alternativa.
Bussò, nessuno aprì. Prese un bastone e iniziò a batte-re forte sulla porta fatta di assi di legno per farsi sentire e finalmente udì la voce cavernosa di ‘’Lu Nigaru’’ e i suoi passi pesanti.
« Chi é??? », disse rabbioso.
« Io, Nedha, apri, prendi la siringa e la penicillina, vieni a fare la puntura a Gina, sta male!>>.
Era la motivazione trovata come esca per farsi seguire e sembrò funzionare poiché dopo un breve silenzio apparve sulla porta in mutande. S’infilò i pesanti pantaloni di velluto, prese il necessario per l’iniezione e seguì la ra-gazza.
Nel frattempo era tornato a casa « Brunu di l’amanti » , che trovando la moglie in quello stato aveva avvisato altri parenti.
Quando la ragazza e “Lu Nigaru” entrarono in casa tro-varono un piccolo gruppo di persone intorno al letto.
« Non serve la penicillina », disse Nedha a “Lu Nigaru”, «serve un’ Ave Maria ».
« Eccoti arrivato », disse la voce rauca.
“Lu Nigaru” era come imbambolato, aveva riconosciuto le frequenze di quella voce, gli vibrava dentro con una forza tale da mandarlo in confusione, annichilendo il suo vigore fino fargli cadere la scatola d’acciaio con la siringa che aveva in mano.
I presenti si guardarono l’un l’altro, nessuno osò parlare, aspettavano un cenno, un’evoluzione, qualcosa che smuovesse quell’aria ferma e pesante che si era creata, che li liberasse da quella sensazione di paura e incredulità.
Trascorse un tempo indefinito, interminabile.
« Che ora è?! », nessuno rispose.
« E’ mai possibile che con tre orologi che ci sono in questa stanza nessuno sappia l’ora?!?!? Adesso è ora! È mezzanotte!! », così dicendo Gina si alzò dal letto e si di-resse verso la porta, seguita dai parenti in direzione della croce di legno.
Arrivata la processione davanti alla croce Gina si tolse la camicia bianca e la posizionò a terra, vi s’inginocchiò so-pra e iniziò a pregare.
Risuonò nel silenzio delle campagne un Santo Rosario accorato, recitato da voci timorose e devote, compresa quella di “Brunu lu Nigaru’’.
Finita la preghiera Gina si alzò, si rimise la camicia, e la processione rifece la strada del ritorno.
« Andate a casa » intimò, « tutti tranne Nedha ».
Così si ritrovarono da sole, le due donne, sedute una di fronte all’altra.
« Figlia …» disse in tono affettuoso, «non avere paura della vita, tu troverai un marito che ti vorrà bene, però il primo anno non godrai di quest’unione, dopo sarai ri-spettata e ben voluta, tu non preoccuparti io ti sarò vi-cino, noi ti saremo vicini… ».
Così dicendo, seduta al caminetto, tirò fuori dalla bocca un panno nero che buttò nel fuoco. Seguì con lo sguardo il fumo che andava su per il camino, immobile. Poi, come svegliandosi da un sogno guardò Nedha, stupita di veder-la lì. Non ricordava nulla di tutto quello che era successo, si mise a letto e si addormentò.
Si era impossessata di lei lo spirito di Francesco, il nonno che Nedha non aveva mai conosciuto poiché all’epoca era ancora una bambina. Mentre era al pascolo con le pecore l’uomo si era addormentato sotto un albero con la dop-pietta armata al suo fianco. I cani, forse attratti dalla bi-saccia che conteneva il cibo, toccarono il fucile che esplose un colpo e gli procurò una ferita mortale alla gola. Il corpo fu recuperato dai parenti e trasportato per le cam-pagne fino all’ovile poco distante. Nel primo punto dove fu posato il cadavere fu piantata una croce e fu lì che pre-garono.
Tempo dopo si presentò da Nedha un uomo e la chiese in sposa, ma poco dopo il matrimonio all’uomo fu notificato un’ordine di cattura e fu arrestato, passando un anno in-tero in prigione. Finito quell’anno le cose iniziarono ad andare bene, e l’abbondanza sembrava sgorgare dalle mani di Nedha che più dava a chi aveva bisogno e più ri-ceveva in benevolenza e stima, anche da chi aveva provato ad affossarla. Visse lunghi anni, proprio come le aveva detto l’anima del nonno.
Lei fece fare un piccolo monumento lì dove c’era la croce, e non mancarono mai i fiori per il giorno dei morti.
Aveva ricevuto il meraviglioso dono dei sogni premonito-ri. Li sognava i morti, li pregava, li onorava e ne alimen-tava il ricordo con devozione e rispetto, e quando fu il suo momento si alzò dal letto e disse: « Quanto ci vuole???? sbrigati ad arrivare! ».
E la morte arrivò, immediata, come per ubbidire ad un comando… e non la colse di sorpresa, trovò tutto pronto ad accoglierla…
(A mia nonna Nedha)