Considerato uno dei più antichi mestieri dell’umanità, il fabbro comparve insieme all’età del ferro intorno alla fine del se condo millennio a.c. Con l’inizio di questa civiltà ebbe origine la storia della Grecia e delle regioni meridionali dell’Italia. Civiltà che si irradiò man mano verso l’Europa. Da considerare artigianato puro di origi ne divina perché nella mitologia greca EFESTO fu il Dio del fuoco, della fucina, dell’ingegneria, della scultura e della metallurgia. I simboli del Dio fabbro erano e sono ancora, a distanza di decine di secoli, il martello, l’incudine e la tenaglia e naturalmente il fuoco che permetteva e permette di plasmare oggetti ed utensili di metallo. Dopo questa breve genesi sull’origine dei fabbri parleremo della comparsa di questo mestiere nella nostra cittadina, attraverso la “Mastranza serrese” che arricchì di opere in ferro battuto di un certo pregio soprattutto le abitazioni del centro storico e di Corso Umberto I. Uno dei pionieri dei “furgiari di la Serra” fu BRUNO BARILLARI ( padre del simpatico “Pieppusedha” Giuseppe Barillari, bisnonno di Gabriele Barillari ) che aveva la forgia dietro la località “Schic cio”, a sinistra per chi fa la salita di via Matteotti ; poi fu Mastru LUIGI SCHIPANI ( “Lu Mesuracatisi”, nonno materno di Franco, Luigi, M. Teresa, Antonella e Fabio Averta e Belinda Malvaso ) che aveva l’officina alla salita a sinistra dove insisteva il negozio alimentare di Nuccio Scoppetta; poi fu Mastru BIAGIO FIGLIUZ ZI, classe 1897, detto “Scica”, padre fra gli altri 10 figli, di Pietro Figliuzzi, il defunto compianto collocatore e di Bruno sposato con Franca, sorella di Don Leonardo Calabretta ( quindi nonno di Biagio, Gina e Francesco ). Aveva la “putigha” di fronte all’attuale Punto 1 dove anni fa vi era l’idraulica di Umberto Campese di Corso Umberto I. Per quell’epoca fu un’avventuriero: emigrato negli USA durante la grande guerra, fu presente nella campagna d’Africa nel secondo conflitto mondiale. Rimangono di lui, opere di ferro battuto come la bella ringhiera della scuola elementare di Terravecchia e le finestre della chiesa Addolorata. Poi fu ancora MASTRU SALVATORE CARNOVALE ( nonno materno di li Bran dini ), con officina quasi di fronte al gommista Carchidi. Quasi contemporaneo a quest’ultimo fu MASTRU LUIGINU DI LASU ( Salerno ) che aveva la forgia proprio all’inizio della nostra cittadi na, dove ha la pizzeria Polito; era un abile artigiano maniscalco e tornitore, specializzato nei cerchi di metallo che avvolgevano le ruote dei carri dei buoi all’epoca numerosi ( fra gli anni 30’ e gli anni 70’ ). Si trasferì a Milano e la sua casa fu venduta a Mario Papasodaro. L’attuale via Fiume di Serra, dietro il negozio di Rita e Sara Rachiele “paransa”, invece era costellata da “furgiari”, come GIUSEPPE GIANCOTTI ( Pepparò ), VINCENZO PISANI ( Lu Macchiettu, zio di Nzino, Maria, Fantina, Pinuccio e M. Teresa Albano “Li stivaliedhi ), “CICCIALLEU” ( Francesco Giancotti ), fratello di Pepparò; Poi ancora Ruocciuleo, Mastru MICHELINO ZAFFINO ( specializzato a realizzare “i dubruni” dei carri dei buoi e le serrature ), figlio di Zaffino Angelo, anche lui del medesimo mestiere, nonché padre di Angela Zaffino, TURINU LU NINNU E FERNANDO, quest’ultimo oggi in pensione, ci riferisce che una volta si saldava con la sabbia e poi con la placca prima che com parisse la saldatura elettrica. Ci dice ancora il simpatico, amico e bravo Fernando, che nonostante la vicinanza non vi era invidia di mestiere fra i fabbri, soprattutto con la famiglia Ncinni. Suoi allievi sono stati il compianto Bruno Maiolo e Cosmo “Lu lieburu” che poi si trasferì al nord Italia. La famiglia Zaffino lavorò insieme ad altri artigiani alla intelaiatura della porta della chiesa Addolorata, men tre il fratello Turinu realizzò con altri la bella catena di ferro che costeggia la scalinata di S. Maria del Bosco. Poi chi non ricorda MASTRU RAFIELI DI NCINNI, educato, scherzoso e galantuomo d’altri tempi, ( soprannome derivante dal “tintinnio” metallico del “dallare”, cioè dall’impatto fra mazza ed oggetto da plasmare che risuonava nel quartiere ) e prima di lui suo padre Mastru DUMI NICU PACE. Mastru Rafieli veniva aiutato dai suoi figli Micu ed Oreste ( sottili maestri ) e dal bravo allievo Lino Marino “Lu Ccliu” ancora in piena attività: la sua forgia si affacciava a sx sull’ inizio di Corso Umberto I e poi dopo il trasferimento dell’attività, vicino il meccanico Zannino. Nella forgia Ncinni e in qualche altra, occa sionalmente lavorava Micu Speziale ( Vidhozza ) addetto a “dal lare” la mazza per ore e ore! Dietro la chiesa Matrice aveva la forgia BRUNO CARRERA ( Lu culasthru ), alto ed elegante che fra le altre cose, modellò il cancello della chiesa di S. Rocco e il cancello del dormitorio di San Bruno, opere da considerare tra artigianato e arte. Vi era pure all’inizio del Corso il compianto e simpatico SALVATORE AMATO “Lu Sciammisu”. Sempre dietro la chiesa Matrice aveva la forgia Mastru ANTONIO PRIMERANO detto TALAU, con i figli Vincenzo e Salvatore, tutti spariti nei me andri del tempo e dello spazio. I mastri, attraverso un lavoro duro e sporco trasformavano il metallo grezzo in oggetti ed utensili finiti, pronti per l’uso alla vasta clientela: zappe, zappette e zap pini, pale, palette e palini; chiavi, chiavistelli e serrature; cancelli, cancelletti e “grade” e tutto ciò che serviva al settore agricolo e a quello edilizio. Il tutto attraverso il metodo del ferro battuto, che consisteva nel battere con una mazza pesante ( “dallare” ) il ferro grezzo tenuto con una tenaglia dentro la fucina, alimentata all’epoca con il carbone vege tale ed oggi con l’energia elettrica. Oggetti che man mano veni vano temperati con l’immersione nell’acqua fredda. Insomma usava no, più o meno, gli stessi attrezzi di quelli che usava il Dio del Fuoco Efesto. Negli anni prima del 1960, a parte qualche pagamento, si usò per molto tem po “il baratto”, lo scambio tra oggetti finiti e prodotti alimentari. Esempio una zappa contro una minestra o un chilogrammo di fagioli. Nuovi bravi artigiani del ferro che han no sostituito la vecchia generazione, ma adesso con strumentazione più moderna da ricordare: Lino Marino, unico privilegia to ad avere lavorato con la famiglia Ncin ni, ( con la responsabilità di conservare le finezze dell’antico artigianato serrese, vedi a proposito la croce della chiesa Matrice e il cancello all’in terno della chiesa Addolorata) e il cognato Nazzareno Vavalà che proviene da quella scuola di maestri e lavora “di finu”, Mi cheleTucci ( Lu Croci ex allievo di Lino che esporta l’artigianato a livello regionale ), Nicola Callà che imparò bene il mestiere dal compianto e abile padre Vincenzo ( Lu Gallu ), con interventi esemplari sui fuoristrada, Biagio Pisani ( Li Siedhu ), giovane serio e laborioso, Saro Pisani e Giuseppe Comito, serrese ma con forgia a Spadola. In conclusione pensiamo di avere assolto il nostro compito fa cendo un omaggio a questo mestiere di origine divina. Ci sarebbe molto da dire ancora sui FURGIARI di la Serra e lo diremo nelle edizioni future della rivista, magari scrivendo singolarmente su ognuno di loro. Se involontariamente abbiamo omesso di nomi nare qualcuno o abbiamo sbagliato qualche dato ci scusiamo con gli interessati. Ringraziamo pure gli amici che ci hanno dato utili notizie per scrivere questo articolo.
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