Le lucine festose hanno ormai invaso le città, abbellendo balconi, ringhiere e giardini freddolosi. Stelle rosse di Natale spuntano qua e là regalando allegria e gioia. Canzoncine melodiose, Babbi Natale con sempre più sembianze umane, si parano all’improvviso sul cammino invitandoti ad entrare nei negozi che traboccano di ogni ben di Dio. Caos, confusione di merci, di luci abbaglianti, di decorazioni che strabordano all’inverosimile per accalappiare lo sguardo ed il portafoglio. Fretta, c’è sempre tanta fretta. Si corre per non si sa dove, per non si sa cosa… l’importante è correre per arrivare a far tutto, per avere tutto pronto. Ci si scontra senza vedersi, senza sentirsi. Non c’è più calore in un abbraccio, in un augurio. Si guarda sempre oltre, più lontano… Ogni anno un nuovo albero alla moda. Un nuovo costoso pezzo per il presepe, se si trova ancora il tempo per farlo…la fontana, il mulino che gira, la mamma che culla, le pecorelle che camminano, la neve, la pioggia, il mare con le onde in movimento, gli angeli che cantano e che svolazzano veramente, il bambino che piange… tutto. Cos’è il tutto? A che serve il tutto se è fatto di niente? Anche la mia casa e il mio balcone sono addobbati a festa. I miei alberi sono due, e, non manca qualche pensierino. Il presepe quest’anno è piccolo, ma c’è. Ci dev’essere sempre… Le mie decorazioni sono diventate tante perchè accumulate negli anni. Ogni pezzo ha un significato, un ricordo. Non si possono buttare via i ricordi se hai voglia di ricordare. Si butta solo ciò che non hai voglia di ascoltare. Tutto parla. Basta saper ascoltare. Ci sono oggetti che sussurano al cuore, altri alle orecchie, altri all’anima, altri non ti dicono nulla perchè sordi come una campana stonata che non piace a nessuno. Stanno lì ad osservare senza dar nulla nè chiedere nulla, finchè inevitabilmente ti stancano ed allora li devi buttare per forza. Forse però, sei tu che non hai voglia di ascoltarli… chissà? In Calabria il Natale di tanti anni fa aveva un altro sapore. Sapore semplice, senza tanti artifici che stonavano. Era una pausa dolcissima dal duro lavoro in campagna. Già ai primi di dicembre adocchiavo i ramoscelli di mirtillo selvatico (“morzìda”) e di corbezzolo (“cacùmmarara”) che mi sarebbero serviti a fare da sfondo al presepe e su cui attaccare le stelline di cartoncino. Cercavo i posticini nascosti dove cresceva il muschio più soffice, per andare poi, verso l’Immacolata a raccoglierlo a colpo sicuro. Ero felice quando cercavo il muschio, in giro per la mia campagna generosa. Piano, piano, il presepe era diventato cosa mia e nessun altro in famiglia ci metteva mano. I pastorelli erano di plastica, ma mi piacevano tanto e la mia felicità raggiungeva il massimo quando salivo con la mamma a Vibo a comprarne qualcuno nuovo… Non era molto grande il mio presepe perchè la casa era piccola, ma era un angolino accogliente che potendo avrei tenuto tutto l’anno. Un piccolo mondo a sè, che racchiudeva una grande storia. L’albero arrivò quando io ero già adolescente. Ricordo che un anno ce ne regalò uno, un vicino. Un pinetto vero che profumava di bosco ed anche se era un pò ingombrante, m’adoperai subito ad addobbarlo anche se in casa non avevo nulla per farlo. Allora non c’era il supermercato sotto casa dove si trovava tutto ed ormai a Vibo c’eravamo già andati per quella volta… La mia fantasia comunque, non si diede per vinta ed allora raccolsi tutti i piccoli giocattolini che trovai per casa e li appesi. Mancavano le ghirlande ed allora, forbici e gomitoli di lana colorati e feci anche quelle. Era un albero un pò strano, ma era il mio primo albero e ne ero contenta. Provai a mettere dei mandarini come palline, ma erano pesanti e rinunciai… Non ricordo l’anno preciso, ma ricordo che l’anno dopo mio padre decise che ci avrebbe regalato un alberello artificiale completo di addobbi e di luci. Da allora faccio sempre il presepe e l’albero. E’ importante per me. La festa iniziava l’otto dicembre con la fiera di Dasà per l’Immacolata. Lì ci si andava sempre. Era un rituale che non mancava mai perchè c’era la possibilità di comprare un pò di tutto senza salire a Vibo, più lontano. Lì i nostri genitori ci acquistavano i vestiti e le scarpe nuove per la festa e la mamma faceva rifornimento dei tipici dolciumi natalizi. Non mancava mai il torrone di Soriano di vari tipi e le susumelle (specie di biscotti) con la glassa e col cioccolato. Non usavamo ancora il panettone e il pandoro che arrivarono nella nostra tradizione piano, piano. La tradizione erano e sono i “curujìcchji” ossia pasta di pane ben lievitata, fritta a forma di ciambelle. Non sono dolci, ma non mancano mai. Io non ricordo regali, cenoni e tombolate in casa mia, ma c’era serenità. Ognuno aveva il suo compito e tutto scorreva normale senza tanti pensieri. L’unico pensiero era quello di comprare qualcosa di nuovo da mettere per andare a messa e a far gli auguri ai parenti. Non cercavamo regali. Gli unici regali erano quelli dei nonni che ci davano qualche soldino che spendevamo ponderatamente. Anche il paese era tranquillo e ce ne è voluto perchè arrivassero le luminarie e gli zampognari. Era una festa religiosa cadenzata dalla novena a Gesù Bambino tutte le mattine all’alba, e dalla messa di mezzanotte e quella del giorno di Natale. Una visita ai parenti, la passeggiata per il corso e tutto finiva lasciando un bagaglio di auguri ricevuti e dati con la speranza e l’attesa di un nuovo anno migliore… ma non cambiava mai… era sempre lo stesso senza accorgerci che intanto crescevamo e cambiavamo noi, dentro, mentre tutto restava immutato e ci stava stretto. A pensarci era un Natale tenero e per nulla vuoto. Oggi i miei figli aspettano i regali da aprire la notte santa, dopo la messa. Quello che non ho mai avuto, cerco di dare loro, ma senza strafare, senza esagerazioni e cercando di fargli capire ciò che è importante. Non c’è bisogno di grandi regali, ma la gioia nel vederli scartare qualcosa che inevitabilmente è qualcosa di utile, è molto grande. Basta poco, ma la cosa più bella sono gli auguri che devono scambiarsi. Non è il pensiero che resta, ma quella parolina magica detta tra loro. Magari tra qualche anno non lo faranno più, ma chissà? Per ora siamo uniti e prego Dio che ci e li faccia rimanere tali per sempre. Sono i ricordi che ci restano quando tutto passa e se io ho ricordato stasera un pò della mia vita, un giorno saranno loro a ricordare quello che ho cercato d’insegnargli. La speranza è che non dimentichino e che cerchino d’ascoltare la voce del cuore che chiede attenzioni. Questo auguro anche a tutti quelli che vorranno leggere queste righe. Le cose che restano sono proprio le cose scontate a cui non facciamo caso. Gli oggetti che ci circondano e che passano inosservati… i ricordi, quelli resteranno sempre. Auguro a tutti di aver orecchie che sappiano ascoltare aldilà del mondo intorno ed entrino dentro al senso delle cose.
Sereno Natale a tutti.
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