Si narra che, in origine, la vite, che oggi noi tutti conosciamo per il dolce nettare prodotto dai suoi frutti, fosse in realtà una semplice pianta ornamentale, che non produceva né fiori né frutti. Vista la sua assoluta inutilità, un bel giorno, un contadino calabrese in piena stagione primaverile, temendo che potesse fare ombra ai seminati, decise di tagliarla o quanto meno di ridurla il più possibile. La pianta venne così potata al punto che di essa rimasero solo dei piccoli rami nudi. La vite, vedendosi così mal ridotta, proruppe in un pianto così intenso che un usignolo, udendola, ebbe pietà di lei:
«Non piangere» le disse «io canterò per te, e le stelle si muoveranno a compassione».
L’uccello, così dicendo, volò e si posò sui poveri rami tronchi della vite, da dove, all’imbrunire, cominciò ad intonare un canto con tanta dolcezza e tanta soave melodia che la vite stessa ne rimase ammaliata, quasi dimenticando i propri malanni.
L’usignolo cantò e cantò per dieci notti ininterrottamente e le sue note melodiose vibrarono nell’aria fino a raggiungere le stelle, le quali, di fronte a quello spettacolo, si commossero a tal punto da decidere di trasferire un po’ della loro forza celestiale a quella povera pianta mutilata. La vite sentì subito scorrere dentro di sé una nuova linfa; i suoi nodi si gonfiarono, le sue gemme cominciarono a sbocciare. I primi pàmpini verdi fremettero alla brezza dell’aurora, e tenui riccioli verdi, i viticci, cominciarono ad allungarsi, finendo per avvolgersi, come una delicata carezza, intorno alle zampine dell’uccellino.
Quando gli acini del primo grappolo cominciarono a dorarsi alla luce dell’alba, l’usignolo volò via contento e felice. La vite, da mera pianta ornamentale, si era magicamente trasformata in una sontuosa pianta fruttifera. Il suo frutto non era un frutto qualsiasi, ma possedeva qualità divine come la forza delle stelle, la dolcezza del canto dell’usignolo e la luminosa letizia delle notti estive.
Passando ora dalla legenda alla realtà, l’origine storica del vino Cirò viene invece collocata intorno all’VIII secolo a.C. quando alcuni coloni greci approdarono sul litorale di Punta Alice, dove fondarono Krimisa, più o meno dove oggi sorge Cirò Marina.
Il nome “Krimisa” deriva infatti da quello della colonia greca stanziata sul promontorio di Cremissa, dove sorgeva un importante tempio dedicato a Bacco, dio del vino.
Secondo alcuni racconti mitici al riguardo, l’eroe greco Filottete, reduce dalla guerra di Troia (che figura nel II canto dell’Iliade), era giunto in questi luoghi esule da Melibea, con dei Rodii guidati da Tlepolemo e vi aveva fondato le città di Krimissa, Petelia, Macalla e Chone.
I coloni greci appena sbarcarono sulle coste Calabresi, rimasero talmente impressionati della fertilita’ di questi vigneti che diedero loro il nome di “Enotria”, “terra dove si coltiva la vite alta da terra”, e gli attribuirono un valore tale per cui un appezzamento di terra coltivata a vite valeva per sei volte un campo di cereali.
Crotone e Sibari furono le prime due città calabresi che si cimentarono nella produzione del “Krimisa” antenato dell’attuale Ciro’. Sembra addirittura che a Sibari, in particolare, vennero costruiti degli “enodotti”, con tubi in terra cotta, capaci di trasportare il vino dalle colline di Sibari fino al porto, dove veniva poi direttamente imbarcato, abbreviando così tutte le operazioni di trasporto.
Il “Krimisa” divenne il vino ufficiale dell’Olimpiade e probabilmente è stato il primo esempio di sponsor secondo l’attuale definizione; veniva offerto agli atleti che tornavano vincitori dalle gare olimpiche e lo stesso Milone di Crotone, vincitore di ben sei olimpiadi, ne era un grande estimatore.
Nel 1968 alle Olimpiade di Città del Messico, per rinnovare la tradizione, tutti gli atleti partecipanti hanno avuto la possibilità di gustare il Cirò come vino ufficiale della kermesse.
Il Vino Cirò ha, effettivamente, sempre goduto fama di essere un prodotto dotato di virtù terapeutiche. Secondo autorevoli pareri di rilievo medico, il Cirò addirittura era considerato un “sicuro cordiale per chi volesse recuperare le forze dopo una lunga malattia” ed inoltre un “tonico opulento e maestoso per la vecchiaia umana che volesse coronarsi di verde ancora per anni”.
Si presume che il gaglioppo, il mantonico ed il greco bianco siano alcune delle viti, ancora presenti sul suolo calabrese, di origine greca.
Oggi il vino Ciro’, prodotto apprezzato per le sue grandi qualità, viene esportato in tutto il mondo. In particolare il Cirò rosso, con una gradazione di 13,5 gradi, puo’ addirittura portare la qualifica di “Riserva”.