Descrizione di un Sacredote dell’epoca: don Bruno Maria Tedeschi
L’atto supremo e più importante della vita per una gran parte dell’umanità è il matrimonio. E’ desso lo scioglimento del dramma della giovinezza. Quindi l’espressione dell’effervescenza degli affetti e della poesia del pensiero. Non è meraviglia perciò che i riti più curiosi precedono e accompagnano la cerimonia delle nozze; riti che universalmente uguali, in un certo senso, tra tutti i popoli, assumono però, delle particolari bizzarrie secondo le abitudini, il diverso genere di vita e la preponderanza più o meno dei principii religiosi, che suggeriscono alle volte delle costumanze d’un significato tutto morale ed allegorico. Il matrimonio, come in tutti i luoghi, è ordinariamente in Serra, è preceduto dal così detto Zitaggio; ma questo stato, lungi dal permettere la menoma libertà ai futuri sposi, li condannano invece ad una reciproca assoluta riservatezza di modi, che in apparenza darebbero a divedere affetti totalmente opposti all’amore. Il promesso sposo, sotto pena di pubblica riprovazione, non può aspirare alla felicità di fermarsi un momento solo in compagnia della sposa; e questa deve evitarne disdegnosa gli sguardi, sia che s’incontrino per le pubbliche strade, che nella propria casa: oprando diversarnente, anche per la più lieve condiscendenza, si acquisterebbe per lo meno equivoca riputazione di giovane impudente. È lecito però allo sposo far visite ai genitori della sposa, ma solo quando costoro si trovano in casa; e allora, nell’ascendere le scale, deve strisciare con forza i piedi sui gradini, far rumori di voce, fingere assalti dl tosse ed altro, onde avvertire la sposa a nascondersi, come di fatto avviene, abbandonando essa prontamente il
crocchio domestico. Sembrerà puerile, poco poetico, anzi selvatico un tal costume. Noi non facciamo comenti: però, tralasciando di aggiungere che l’amore dei fidanzati è troppo industrioso per violare innocentemente la soverchia scrupolosità di una usanza cosi poco indulgente; osserviamo che un tal costume é in bello accordo colla morale; e chi vorrebbe rilevarne i vantaggi, non deve che esaminare l’antitesi del gran mondo e della galanteria. – Giunto il giorno delle nozze, vengono invitati tutti i membri intrinseci del parente, i quali si raccolgono in casa della sposa, ove, dopo i complimenti d’uso, si procede alla lettura dei diversi articoli del corredo dotale. Questo elenco vien detto Pittace: alla lettura di ciascun articolo si fa mostra delle masserizie corrispondenti, deponendoli con cerimonia nel mezzo d’ una stanza sovra coltri spiegate. Nel frattempo di questa cerimonia lo sposo deve sforzarsi di mostrare il maggior contento del mondo, manifestando segni di viva approvazione alla vista di ciascun oggetto del corredo, massime di quelli che sa essere stati lavorati dalla sposa; ma questa non può partecipare affatto alla gioja comune; anzi, vuole l’usanza, che seduta in disparte e a capo chino, quasi dimenticata, desse segni di dolore con frequenti singhiozzi e sospiri. – Compita questa cerimonia, succede quella di vestire la sposa cogli abiti nuziali, che sono più pomposi dell’ordinario, aggiungendosi il velo nero pel capo, essenzialmente caratteristico della circostanza. Questo velo di seta nera vien chiamato Jietto ed è, per la sua forma e per il colorito, lugubre e luttuoso. E’ questo il vero nubere dei Romani, ma d’un significato più morale e più filosofico insieme. Il velo delle spose romane era color di fiamma, “inteum flammeum”, questo è nero, perchè in tal colore, generalmente usato nelle circostanze funebri, vien sostituito alle feste nuziali?…
Dopo tutto ciò gli sposi vengono accompagnati all’altare per la benedizione del Parroco, la quale vien seguita da quella dei genitori; quindi il corteo si avvia nella casa dello sposo, ove succedono le visite degli amici e dei consanguinei, i quali portano i complimenti d’uso, i presenti; che consistono in oggetti svariati di dispensa, e frutti di domestica economia.
Nota: Solo dal 1863, per Decreto Reale del 22 gennaio, il paese di “Serra” venne
denominato:“Serra San Bruno”, unendo il suo destino alla Certosa che, in pari tempo, assunse la
denominazione di: “Certosa di Serra San Bruno”, in sostituzione del toponimo: Certosa di Santo
Stefano”
(da una ricerca storica di Girolamo Onda –2017-)