Un benemerito cittadino serrese, degno di essere ricordato, è senza dubbio Domenico Vellone, detto Mitimè. Le cronache cittadine parlano di lui già nell’anno 1783, quando Serra subì i disastrosi effetti di un terribile terremoto, che scosse la Calabria intera. Il Mitimè, all’epoca, era un uomo molto danaroso. Aveva al suo attivo numerose proprietà ed, inoltre, gestiva un negozio di generi alimentari che gli permetteva d’incrementare le sue ricchezze e condurre vita molto agiata insieme alla sua famiglia. Mitimè era anche un uomo molto pacifico che amava la vita tranquilla, ma non per questo disdegnava di partecipare attivamente alle vicende che accadevano nella cittadina e a prendere parte attiva alla vita sociale. Nel corso della sua vita ne vide e ne fece di tutti i colori, tanto che in paese non s’intraprendeva nulla senza di lui e questo non solo perché aveva la stoffa del capo popolo, ma anche perché non rifiutava di contribuire di tasca propria ogni volta che c’era da sborsare danaro per finanziare questa o quella iniziativa a favore della collettività. I fatti che lo videro implicato di persona nelle vicende cittadine riguardarono le lotte popolari per l’abolizione della Terza Chiesa e le scellerate invasioni dei briganti che misero, poi, la parola fine alla sua travagliata esistenza. Mitimé, è superfluo ricordarlo, era un “terravecchiaro” ossia un abitante dell’antico quartiere, che era denominato “Terravecchia. Egli si opponeva a quei suoi compaesani i quali, dopo il tragico terremoto, avendo perduto la casa, si erano trasferiti nel nuovo quartiere, chiamato “Spinetto”. Tra le lotte che contrapponevano ‘terravecchiari’ e ‘spinettari’, la più accanita è stata senz’altro quella per la supremazia della chiesa matrice. L’antica e gloriosa chiesa, sita nel quartiere “Terravecchia”, era stata semidistrutta dal terremoto e quindi resa inagibile al punto da dover essere abbandonata. Gli spinettari, allora, pensarono di sostituirla con quella che loro avevano edificato con tavole nel nuovo quartiere. Ma la cosa non fu di gradimento da parte dei ‘terravecchiari”, con in testa il Mitimé, i quali aprirono le ostilità, dando inizio ad una vera e propria guerra di religione che, secondo quanto riferiscono le antiche cronache, fece anche delle vittime. Gli spinettari, per averla vinta, tirarono dalla loro parte il parroco, don Vincenzo Giancotti, soprannominato da tutti “ il vicario dell’Arzo”. Quest’ultimo, che abitava nel quartiere Spinetto e, quindi, trovava comodo celebrare nella chiesa di Spinetto, era autoritario e inflessibile e con la sua condotta non aveva fatto altro che fomentare l’odio tra le due fazioni. Successe che, nel tentativo di mettere la pace, si addivenne all’idea di edificare una terza chiesa la quale fu costruita a metà strada tra i due quartieri. Ma questo non servì a riappacificare gli animi dei terravecchiari i quali misero in atto una serie di attentati al punto che radunarsi nella nuova chiesa per ascoltare la messa comportava anche il rischio di perdere la vita. E’ stata attribuita al Mitimè, infatti, l’idea di segare nottetempo le travi che sorreggevano il tetto della Terza Chiesa in modo che lo stesso crollasse addosso alla gente nel bel mezzo delle funzioni religiose. Fortunatamente questo evento non si verificò, ma il Mitimè si rese promotore di una serie di ricorsi fino a quando l’Ordinario diocesano ben presto si rese conto che bisognava mettere fine alle ostilità prima che accadesse qualche grave tragedia. Convocò, quindi, i rappresentanti dei due partiti e, dopo accese dispute e discussioni, si addivenne alla determinazione di sopprimere la Terza Chiesa e ripristinare al culto l’antica Matrice la quale, per l’occasione, fu sistemata alla meglio e messa in condizione di poter funzionare. Il decreto vescovile fu accolto dai terravecchiari con grande giubilo e soddisfazione. Nel men che non si dica la terza chiesa, che aveva funzionato per sei anni, venne smantellata di tutti i suoi arredi, che furono trasferiti nella Matrice e nei giorni che seguirono fu completamente demolita. A guidare le operazioni fu naturalmente il Mitimè il quale, insieme ad un certo Gaetano Barillari, che faceva il mestiere di falegname, si mise alla guida di un carro trainato dai buoi e, vestito da bovaro, trasportò quanto più cose poté alla Matrice. Poi, insieme a numerosi altri volontari, si armò di pala e piccone e lavorò fino a quando della terza chiesa non rimase più pietra su pietra. Accadde, però, che qualche anno dopo, e precisamente il 25 maggio dell’anno 1807, Serra fu invasa dai briganti che saccheggiarono il paese e commisero ogni genere di ruberia. Gli invasori saccheggiarono anche il negozio e la casa del Mitimè il quale fu catturato e torturato. Si impegnarono quegli sciagurati di lasciargli salva la vita in cambio di 300 ducati, ma non mantennero la promessa. Dopo avere intascato il danaro, i briganti inveirono sul malcapitato Mitimè e l’uccisero barbaramente. Poi gli tagliarono le mani e le appesero alle imposte della porta della sua bottega. Non paghi di quella inumana crudeltà gli mozzarono il capo e, dopo averlo infilato in una palo, lo lasciarono esposto per diversi giorni nel bel mezzo della piazza di Spinetto. Mitimè fu pianto da tutta la gente del paese. Dopo la partenza dei briganti il suo corpo fu pietosamente ricomposto e sepolto con grande devozione nella Congregazione della chiesa dell’Addolorata.
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