I miei dubbi sulla ricostruzione storica della decifrazione della simbologia presente, nel pavimento moaicato della cosiddetta “Casa del Drago” di Kaulon, oggi Monasterace.
Anche quest’anno sono stato a vedere la cosiddetta casa del drago, cioè, il pavimento mosaicato nell’aria archeologica della vecchia Kaulon, ad ascoltare la ricostruzione storica,
e sono tornato a casa, non dico con più dubbi di prima, ma almeno con gli stessi che avevo l’anno scorso, quando ascoltai per la prima volta quella versione.
L’ho fatto principalmente perché, già nell’estate 2018, avevo chiesto l’autorizzazione a poter fotografare l’intero sito a mare: l’area sacra dei templi, compreso quello in cui si trova il pavimento mosaicato, proprio perché volevo vederci chiaro.
Sìn dall’inizio, mi accorsi che quella struttura non era soltanto un centro termale, perché era troppo piccolo, ma perché vi era una sorta di labirinto con una entrata troppo stretta, e le figure non rispondevano alla descrizione fatta. Qualsiasi manuale di simbolismi religiosi, ci racconta una valenza e un rapporto con il sacro, da parte di quei figure, che sono molto lontani dal valore religioso apollineo. Si, quell’area, per me è un’area sacra, e la struttura in cui si trovano i mosaici, era una sorta di area termale, e l’acqua era l’elemento iniziatico di fondo. L’acqua era il presupposto fondamentale con cui iniziare e poi siglare quel patto tra gli dei, in virtù dei loro sacerdoti, e gli uomini che iniziavano quel cammino nel mondo dello spirito; l’acqua era a mio avviso quel simbolo forte e potente, come lo era il giuramento tra gli dei in nome dell’acqua dello Stige, idronimo che richiama la vicinanza linguistica con un toponimo del luogo(Stignano), ma anche il toponimo del promontorio Cocinto, il quale richiama un altro fiume inferino, come ci ricorda la tradizione omerica e non solo. Quel luogo, quindi, a mio modesto modo di vedere, aveva la funzione prettamente di luogo di culto(minore rispetto agli altri circostanti), a carattere iniziatico, ma richiamanti aspetti e situazioni di divinità ctoniche e matriarcali, legate al mondo dell’acqua e del mare. Un gruppo religioso minoritario come lo possono essere oggi i Testimoni di Geova o altri, comunque nell’area dei templi sacri alle divinità, del cielo o della terra che fossero. D’altronde, come si spiegherebbe la tradizione riportata da molti autori, della presenza in quel luogo, dell’amazzone Cleta e di suo figlio Kaulon. I nomi stessi delle figure leggendarie di quel posto, non sarebbero ellenici, ma prearii, e di derivazione asiano-anatolica, non che di stirpe mediterranea. Per questo non ci dovremmo scandalizzare di fare accostamenti ed analizzare anche i toponimi, se vogliamo ricostruire storicamente un percorso di un passato e delle sue diversità etno-antropologiche, che si sono sviluppate sul territorio, e su cui hanno lasciato delle tracce indelebili. Prendere questi termini: Cocinto, Stignano, Kaulon e Cleta, o altro, come per esempio Allaro(quest’ultimo è molto interessante, da questo punto di vista, perché sarebbe alla radice del termine Sagra, se questo, come credo, è il fiume della famosa battaglia), perché ci permettono di ricostruire quelle figure nella storia, come i tasselli permettono la creazione delle figure del drago o dei delfini. I mosaici in questione sono, a mio avviso, un qualcosa che non appartiene al mondo omerico e apollineo, ma a quello esiodeo, con lo sguardo rivolto a quella tradizione pelasica e mediterranea(in questo, anche tirrenica), secondo quanto ci dice anche D. Alicarnasso.
Ciò, a mio avviso, ci viene attestato da due o forse tre elementi: le protome teriomorfe, col loro simbolismo animale identitario e identificativo, nonché i colori freddi e cianotici predominanti dei tasselli, con l’aggiunta del rosso porpora(che mi fa venire in mente la “casa degli specchi” dedicata al culto di Dioniso –Zagrèo, di Pompei) o sangue.
A ciò si aggiunge anche l’entrata stretta nel complesso, e l’aspetto labirintico della struttura.
L’assenza di riferimenti al dio Apollo, contrariamente a quanto afferma il Professor Cuteri è un’altra delle ragioni, che mi fanno ritenere quella ricostruzione non plausibile, perché il delfino non è il simbolo di Apollo a Delfi, ma appartiene a quel sostrato religioso antico, e alla simbologia identitaria religiosa preindoeuropea e mediterranea: alle divinità del mare nereico-pontiche prima, e poi poseidoniche a carattere lunare e matriarcale, forse anche demetriana, perché inferina.
Delfi, inizialmente era dedicato a Gea, con il suo drago e il suo serpente Delfine, metà donna e metà animale marino, poi sconfitto da Apollo(gli Indoeuropei e cultori delle divinità del tuono e della luce, col loro mondo olimpico e di Zeus pater), il dio della luce solare giallo oro e non uranica, una luce spenta e fredda, come quella cianotica dei mosaici.
Se io dovessi associare a quei colori e quelle figure teriomorfe, la protome di un dio, non assocerei certo quella di Apollo, ma di Dioniso (simbolo di morte e resurrezione, che si addice all’aspetto iniziatico della salvezza) archetipo, una divinità maschile paredrica, di tipo lunare, come il dio figlio di Semele ( è lui che fa diventare i pirati tirreni, dei delfini), nella visione zagreiana. Fu la cultura ellenistica, a differenza di quella classica, che espresse filoni di pensiero che hanno cercato di recuperare(Apollonio Rodio, Nonno di Pianopoli, ecc.) vecchie tradizioni mitologiche legate al mondo delle popolazioni pelasgiche, e egeo-asianiche, che il pensiero ellenico indoeuropeo aveva oramai sconfitto e suggellato con la visione prima classica del mondo omerico, e poi razionalistico aristotelica e alessandrina, della stessa epoca ellenistica. Il riferimento poi alle raffigurazioni della divinità apollinea che cavalca il delfino, sulle monete, a cui il Professore ha fatto riferimento, non dice, a mio avviso, che lo stesso delfino è un elemento identitario del dio, ma che la divinità lo domina e lo cavalca, come fa l’uomo con il cavallo. Metaforicamente è come dire che il dio, cavalcando il delfino è come se avesse oramai saldo nelle sue mani, le divinità delle tradizioni precedenti, a carattere matriarcale, ossia: i popoli e le culture paleo mediterranee, legate al mondo acquifero con le figure anguiformi, dominate dal pensiero unico della luce solare.
Del terzo, e di altri dubbi ancora, direi piuttosto certezze, sulla ricostruzione delle valenze mosaicali della casa del drago della Kaulon greca, parlerò più in là, quando mi sarà possibile, ma tutti quei dubbi mi rimangono e si rafforzano.
Non condivido ancora, quanto detto sull’ippocampo e sul drago(aspetti molto presenti nelle figure megalitiche locali), ma neanche quado il Professore ci parla di proiezione celeste, raffigurata sulla pavimentazione, come una volta a cassettoni, almeno se lui la intende come proiezione del cielo solare della luce di Apollo, e non uranica o titanica di Iperione, ma anche di Helios, su quella pavimentazione. Credo anch’io che sia una proiezione celeste, ma per me è quella uranica(visti i suoi colori e le forme quadrate e cuboidali, legate al pensiero del mondo del dio Crhonos ) e della visione del cielo delle popolazioni indigene mediterranee.
Avviandomi adesso alla conclusione di questa prima parte, vorrei dire che ho sempre sentito dire da responsabili locali del museo, che non avevano mai trovato elementi di cultura materiale indigena(non so se sia vero o meno), ma su l’Allaro, in località Tarsia, ci sono affioramenti continui di ceramica neolitica, e sin da quando vidi quei reperti, feci segnalazioni a tutti, anche alla Soprintendente del tempo, la quale venne a vedere, ma poi non si seppe più nulla. Dico questo perché, l’altra sera, mentre ascoltavo il professor Cuteri, su uno di quei muretti, vidi fissato proprio lì un grosso medaglione di quel tipo di ceramica, e pietre che sembrerebbero intagliate, le quali le feci vedere al tim del Professore.
Chiudendo per adesso questo ragionamento, non posso però esimermi dal dire che lì ho trovato qualcosa di assurdo, che intendo cercare di chiarire. Non molto distante dalla struttura, forse una ventina di metri, c’è una grossa pietra a forma di uovo, in parte scolpita recentemente, da un artista del posto, alta forse 3 metri per due, che io ritengo essere una scultura neolitica(e sono disposto a provare quanto affermo), la quale sembra ritrarre un profilo tipico della tradizione neolitica e matriarcale. Una pietra che è stata trovata nell’area di Santa Caterina dello Ionio(luogo dalla straordinaria presenza megalitica, già segnalata alla Soprintendenza di Cosenza, ma su cui non ha mai voluto fare dei sopralluoghi, mentre il Comando Provinciale dei Carabinieri Forestali, da me contattati per una verifica, hanno dichiarato quell’area a carattere archeologico(prescindendo volutamente dalla Soprintendenza), spedendo la loro relazione alla stessa Soprintendenza e al Ministero), e poi portata all’interno del parco archeologico. Io mi auguro che questo scempio non si ripeta più e che le autorità competenti, per quanto di loro pertinenza, fermino qualsiasi prelievo di massi in quella zona.
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