Quando sono libero dalla mia funzione occupo una panchina qualsiasi in una città qualsiasi. Oggi ho scelto una panchina di un grande rione cittadino dove ero stato altre volte. Seduto, con il portatile sulle ginocchia scrivo: provo a fondere la storia con la leggenda. Dentro la città che brulica mi sento come fossi al centro di una grande giostra. Di tanto in tanto vado nel vicino bar per prendere una bibita e, grazie al buon cuore del barista, ricarico la batteria; i ragazzi che servono al bar mi chiamano “Lomorandagio”. Assestato sulla “mia” panchina, a intervalli regolari mi concedo una pausa e richiamo sullo schermo i fatti del mondo poi, prima di ricominciare a scrivere, sbircio per pochi secondi l’umanità che mi circonda. Lo strano caso accadde verso le undici. Stavo facendo una pausa per riflettere; le dita incerte sulla tastiera e lo sguardo nel vuoto, e fu allora che si verificò l’ inaspettata coincidenza. Un’auto si parcheggia di fronte a me; al di la del marciapiede. Scende un uomo che non mi aveva mai visto ma che io proteggevo dalla nascita; mi ha notato e incuriosito si è piazzato alle mie spalle. Ha prima guardato attentamente la mia nuca ed i capelli che la ornano a formare un’aureola ben ordinata e bianchissima poi, al di sopra di essa, ha letto il titolo che principia la pagina: “Antologia di Angeli, Spiriti e Misteri.” Bisbigliando ha letto il seguito fino in fondo. Non nascondo che quella sua sfrontata intrusione mi ha dato fastidio. Un senso di rivolta mi suggeriva che avrei potuto tacciarlo di “violazione di domicilio” ma, la grande scatola di cartone; che è la mia casa irreale; e dentro la quale fingo di trascorrere le notti, giaceva mestamente ripiegata dietro la panchina. Ultimata la lettura l’uomo sfilò dalla tasca una banconota di dieci euro e la posò sulla tastiera del mio computer. Fece per andarsene quando un leggero colpo di vento agitò la banconota, a questo punto l’uomo infilò di nuovo la mano in tasca e cavò una moneta di un euro che pose su di essa ancorandola. Disse: “E’ tutto quello che ho, abbi cura di te” e aggiunse l’antipatica frase di moda: “continua così”. Con passo spedito riprese la sua strada. Restai immobile e indifferente e continuai a scrivere. Quando “il mio protetto” si confuse nel paesaggio urbano strappai un lembo di cartone della mia cuccia e con il pennarello scrissi un messaggio: “Ti ringrazio dell’amorevole gesto ma, per volontà divina, sono io che devo avere cura di te.” Adagiai il computer sulla panchina e andai fino alla sua auto. Infilai sotto un tergicristallo il messaggio piegato in due con dentro la banconota da 10 euro e dentro ancora la moneta di un euro. Ora dovevo cambiare posto. Richiusi il computer nella tracolla e delicatamente presi sottobraccio la scatola di cartone. Delicatamente; perché non volevo sciupare le bianche ali che custodivo all’interno.