Rossella Casini è splendida ragazza bionda, occhi azzurri, eterea, rinascimentale. Una madonnina che studia Psicologia al Magistero di Firenze, dov’è nata da umile famiglia nel 1956.
Siamo nella seconda metà degli anni 70, precisamente nel 1977. Non si chatta, non ci sono i social network, non si usa il pc, il telefonino non si sa cosa sia. I giovani si aggregano in forma diretta, ci si incontra nelle piazze, si dialoga “a tu per tu”, si fanno le feste in casa, neanche esistono i fast-food.
Sono gli anni in cui il tubo catodico inchioda milioni di italiani sul divano e “gli anni di piombo” marchiano a fuoco la vita nelle grandi città (Roma, Firenze, Milano, Bologna, Padova, Genova, Napoli …), sede di facoltà universitarie e organizzazioni politiche apartitiche. Accanto a un mondo a colori come la tv che sta per essere battezzata, c’è il volto duro e grigio di una realtà in bianco e nero dove l’unica nota di colore è il rosso del sangue sparso per le strade.
Comunque tutto ciò è destinato a finire molto presto: le grandi ideologie del decennio passato stanno svaporando davanti a nuove mode, tipicamente figlie degli incipienti anni 80.
In particolare Firenze diventa patria dei dark, dei post-punk e della new-wave, pronta ad avviare il suo secondo Rinascimento in chiave avanguardistica.
In quest’epoca così dinamica per Firenze, capitale della neo-cultura, in un Sud immobile e ancestrale, la Calabria, viene stuprata e dilaniata la bella Rossella. Ma che cosa ha avuto a che fare una ragazza come lei con una terra così amara e terribile?
Ha commesso una colpa, la ragazza fiorentina. Quale? Essersi innamorata del ragazzo sbagliato, appartenente a una famiglia di ‘ndrangheta.
E non basta.
Lentamente, con la forza del conforto e di un legame profondo e vero, Rossella lo ha convinto a pentirsi e così è stata condannata a morire, non senza la giusta dose di abominio e orrore. Non è solo violenza alle donne, questa. E’ qualcosa in più.
La ricostruzione che vi offro non è un semplice ricordo, ma un tributo a una ragazza dimenticata, una desaparecida della quale rimane solo un’immagine in bianco e nero, trovata per caso negli archivi dell’università: è la foto sul suo libretto universitario e ve la riporto. Non è una foto allegra, come non lo fu la sua sorte che mi va di accostare a un’altra grande figura di donna, stavolta calabrese che lottò contro la ‘ndrangheta e ne fu sopraffatta allo stesso modo: Lea Garofalo, la cui storia, invece, è ben risaputa e, soprattutto, molto più recente.
Era davvero bella e dolce, Rossella, ma anche coraggiosa e coriacea. Capatosta quanto una calabrese. Stuprata, fatta a pezzi, buttata via, come immondizia, dispersa in mare. Senza spoglie. Senza memoria. Aveva poco più di vent’anni – precisamente 25 – quando morì ammazzata e, per di più, cancellata dalla memoria.
Rossella era nata il 29 Maggio 1956 in una famiglia operaia, che ormai aveva quasi perso le speranze di avere un figlio. I Casini vivono a Firenze, in Borgo la Croce, una via tranquilla che unisce Piazza Beccaria al mercato rionale di Sant’Ambrogio.
Non sappiamo nulla della sua vita prima dell’incontro con il ragazzo di cui s’invaghì – Francesco Frisina di Palmi – perché non è rimasto più nessuno a raccontarla: la mamma Clara morì due anni dopo la sua sparizione, il padre Loredano alla fine degli anni 90, non molto tempo dopo aver saputo la verità sulla morte dell’unica figlia.
Nel 1977 a 21 anni Rossella si invaghisce quindi di Francesco, che studia Economia, ed è andato a vivere nella palazzina ottocentesca dove abita la famiglia Casini. Così i due studenti si conoscono e decidono di fare le cose sul serio, fidanzandosi. I genitori di Rossella ne sono lieti.
L’idillio è vissuto alla luce del sole, tra ponte Vecchio e il mercato di San Lorenzo, i lungarni e le Cascine, ma anche davanti allo splendido mare della Magna Grecia, gli uliveti secolari e le montagne millenarie dell’Aspromonte. E’ una storia seria, è importante che le famiglie si frequentino.
I calabresi sono molto ospitali, si sa che quest’usanza deriva dal sangue greco che scorre nelle loro vene, ma sono anche diffidenti e statici e non amano cambiare le regole costituite. Francesco però fa la sua parte e invita Rossella a casa sua e questo avviene più di una volta.
La prima, nell’estate dell’anno successivo alla loro conoscenza, quando i Casini trascorrono le vacanze estive in Calabria per conoscere i genitori di Francesco.
E’ il 1978. Tutto sembra semplice e bello. Bagni al mare, tanto sole, spiaggia, musica, passeggiate, convivialità. Tutto nomale, dunque. E invece no.
Inizia infatti una strana serie di eventi che porta Rossella a conoscere fatti che non avrebbe immaginato. Le diventano familiari atteggiamenti e parole mai sentite: il lessico della ‘ndrangheta. Faide per il controllo del territorio, ‘ndrine, selvagge mattanze … cosche, vendette per sgarri commessi o solo sospettati, una strana forma di “onore” e poi, soprattutto, l’omertà, alimentata dalla paura.
Rossella è vista come una straniera, la giovane cittadina piena di civiltà e che toscaneggia tra le vie di Palmi. E’ ‘na forestiera la zita di Francesco, è un’intrusa … e, soprattutto, non si piega alle regole della casa.
La famiglia di Francesco, del quale Rossella è perdutamente innamorata, nel 1979 è coinvolta in un fatto di sangue: il 4 luglio è ucciso il padre Domenico e, alcuni mesi più tardi, il 9 dicembre ‘ 79, anche Francesco è ferito alla testa in un agguato. Rossella si precipita a Palmi e riesce a far trasferire il fidanzato alla clinica neurochirurgica di Firenze.
Tutto le diventa chiaro, ogni sospetto è dissipato: il ragazzo proviene da un pianeta diverso, regolato da leggi che includevano l’omicidio. Ma Rossella lo ama.
Durante la convalescenza, Francesco, spinto dalla fidanzata, si decise a spezzare l’omertà e a svelare a un magistrato la catena di omicidi che aveva insanguinato anche la sua famiglia.
Fu proprio l’allora sostituto Francesco Fleury a raccoglierne le dichiarazioni. L’ indagine fu trasmessa per competenza alla procura di Palmi, e il terremoto si fece sentire.
“Ci ha inguaiato tutti”, disse al telefono il 22 febbraio ‘ 80 Pino Mazzullo, cognato di Francesco, marito di sua sorella Concetta.
Francesco Frisina si rifugiò a Torino. Il cognato lo raggiunse e lo convinse a ritrattare. Tre giorni più tardi vennero arrestati entrambi.
Rossella non molla e lotta in nome dell’amore e della giustizia, i valori con i quali era stata cresciuta. Così continua a far la spola fra Firenze e Palmi, cercando anche, con maldestri tentativi di ritrattazione, di salvare il fidanzato.
Nel febbraio ‘ 81, a pochi giorni dal processo, scende nuovamente a Palmi. Deve parlare con un giudice. Chiama il padre domenica 22 febbraio. “Sto rientrando”, dice. E invece non rientra più.
Rossella non solo aveva deciso di parlare con le forze dell’ordine, ma aveva convinto Francesco a fare lo stesso. Il ragazzo, evidentemente, la amava davvero tanto. O forse, sentiva il peso di una situazione imposta e dalla quale, grazie a lei, vorrebbe emanciparsi.
Tutto questo per la “famiglia” era inaccettabile. La situazione precipita e Francesco venne convinto a ritrattare. Rossella visse un momento di confusione e rimase in balia degli eventi.
Però la forestiera non si fa gli affari suoi. Cammina a testa alta, parla, denuncia. Così viene decretata la sua morte. La mandante è la sorella di Francesco, Concetta. Una donna che decide di far morire una donna.
Rossella viene uccisa nel 1981, a febbraio. È del 22 di quel mese l’ultima telefonata a suo padre. Questa, in sintesi, la sua storia.
Dopo la scomparsa, di Rossella si perde ogni traccia e lo stesso Francesco, che avrà saputo, ha dovuto tacere. Silenzio imposto dalle regole della ‘ndrangheta. Il ragazzo s’era illuso di poter cambiare. Ma questa è una strada senza uscita, un destino segnato. Nessuno può e deve ribellarsi. Chi lo fa, finisce morto ammazzato.
Passa il tempo, sono tanti anni, nei quali il padre, rimasto solo, lotta per sapere qualcosa. Finalmente dai pentiti della ‘ndrangheta riemerge la verità su “una giovane fiorentina fidanzata a un calabrese e coinvolta in una faida” – “Fate a pezzi la forestiera “: questo fu l’ordine dato.
Rossella viene giustiziata: torturata, violentata, fatta a pezzi e buttata in mare, tra le onde del mare della Magna Grecia.
Il mar Tirreno dove, secondo Giuseppe Berto, “nascevano i miti”, e che ora appartiene alla mafia e in cui stavolta viene annegata un’illusione: quella di poter cambiare il corso delle cose. E’ un mare di morte, che non produce più nessuna idealità.
Il disonore viene lavato nell’acqua salata, qui avviene un amaro battesimo col sangue, qui si disperde ogni traccia della ribelle che aveva convinto Francesco, sfuggito ai sicari del clan rivale, a parlare con i giudici, a fidarsi della giustizia, dello stato, a scegliere la strada in cui lei credeva: la legalità.
“Eliminate la straniera”: fu l’ordine della mafia, eseguito alla lettera, perchè non si può infrangere la regola del silenzio. E il clan non perdona l’amore libero e sconfinato di una ragazza pura, perché la ‘ndrangheta non contempla nel suo vocabolario la parole amore, purezza, pietà, perdono, libertà.
Una storia dissepolta, catapultata nelle aule giudiziarie a 13 anni dai fatti grazie a un’indagine della direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria.
Fino al 1994 Rossella era una dei tanti scomparsi senza lasciare traccia: una storia da “Chi l’ha visto?”. Esisteva nel ricordo del padre, Loredano, che dall’ 81 non aveva mai smesso di cercarla. Aveva bussato a tutte le porte, s’era dissolto nel suo dolore disperato, lo stesso per il quale era morta la moglie Clara, a due anni dalla scomparsa della loro unica figlia. Rossella: bella, in gamba, intelligente e, soprattutto, libera e determinata. Tutto il contrario delle figlie del Sud che vivevano in paesi strozzati dalla paura.
Tredici anni dopo la sua fine, nel quartiere di Santa Croce il ricordo di Rossella si mantenne vivo e, finalmente, pure la Calabria dei buoni e dei giusti la ricorda, la commemora, le intitola vie, scuole, piazze, come e più di Firenze. Si scrive di lei, si parla di lei. Il suo esempio vale più di mille parole e vince, come disse nei Sepolcri Foscolo, “di mille secoli il silenzio”. Però non ha avuto una tomba o un’urna per le ceneri, la povera Rossella che eroina civile fu, come i grandi commemorati a Santa Croce. Un’eroina di oggi, di questi nostri tempi in cui si muore pure per troppo amore.
Tra le pagine del quotidiano fiorentino “La Nazione”, il povero Loredano apprese nel 1994 che la sua unica figlia era rimasta vittima della di una sanguinosa faida calabrese. Nessuno si sognò di avvisarlo di persona.
Si lamentò con il procuratore aggiunto di Firenze Francesco Fleury, urlò la sua rabbia. “Che Stato è questo – chiese – se devo sapere dai giornalisti che mia figlia è stata ammazzata e fatta a pezzi? Non avrei diritto di essere informato dalle autorità?”. Il povero uomo morirà di crepacuore, dopo aver lottato tanto.
Quale immagine verrà restituita della Calabria da un simile fatto? Che il clan non perdona l’amore che si batte per la giustizia e la libertà e che non si può amare la donna sbagliata. Il “colpevole” non è lui, l’uomo, ma lei, l’elemento fisicamente debole, la donna, rea di aver convinto il fidanzato a rompere le leggi dell’omertà. E per questo fu rapita, uccisa, gettata in mare.
E il suo “lui”? Niente farà per salvarla. Anzi, la dimenticherà in fretta. Si sposerà con una ragazza sicuramente più docile e dimessa. “Moglie e buoi dei paesi tuoi”.
La tragica fine di Rossella fu ricostruita dai magistrati della procura distrettuale di Reggio Calabria (l’aggiunto Salvatore Boemi, il sostituto Giuseppe Verzera) che all’epoca indagavano sulle cosche Gallico e Parrello – Condello di Palmi, protagoniste dal ‘ 78 al ‘ 90 di una feroce guerra di mafia.
All’ interno dell’inchiesta, nella quale si eseguirono più di cento arresti, tre persone furono accusate del sequestro e dell’omicidio di Rossella: Domenico Gallico, Pietro Managò e Concetta Frisina, la sorella di Francesco.
Il quale era in carcere quando, il 22 febbraio ‘ 81, la sua ragazza scomparve. E che, secondo l’accusa, sapeva che Rossella – estranea alle leggi ferree dell’omertà – era una mina vagante. E dunque – sostenne la procura – non si oppose alla sua eliminazione!
Ma cosa aveva fatto di tanto grave la ragazza?
Abbiamo ricostruito i fatti, in terribile successione, che hanno portato alla sua eliminazione.
Immaginiamo quanto abbia sofferto lei, non ci è dato sapere se Francesco abbia sofferto, e quanto. Noi speriamo di sì.
Rossella non ebbe una tomba, né l’avrà. Eppure sfidò la ‘ndrangheta. E ne morì. Solo i suoi genitori lo sapevano e, prima ancora del processo, si spensero, certi che la figlia era morta, perché voleva una giustizia, fatta non di vendette sanguinarie. Non ebbero mai il sollievo, lieve, di portarle dei fiori.
La ‘ndrangheta azzerò Rossella e disperse le sue membra in mare, come un sacco di letame. Lei, stuprata, dilaniata, dimenticata. Cancellata, ma pronta a risorgere in chi ricorda la sua storia e decide di ringraziarla.
No, Rossella, tu non sei morta. Come tutti i morti insepolti, rivivi in me, in noi. Nel nostro ricordo, con la tua solitudine tragica, novella Antigone d’oggi che ti batti per diritti giusti e sacrosanti: la giustizia, la libertà, l’amore. Grazie.