Oggi, per scrivere in diretta, ho scelto la panchina di una grande piazza cittadina. Seduto, con il mio portatile sulle ginocchia, cerco brani di realtà per coronare le leggende. La gente, che ruota intorno al mio spazio, mi fa sentire come il perno di una giostra. Di tanto in tanto vado nel vicino bar e, grazie al buon cuore del barista, ricarico la batteria del computer. I ragazzi che lavorano al banco mi chiamano:“Lomorandagio”. Assestato sulla “mia” panchina scrivo e, quando mi concedo una pausa, osservo l’umanità che mi circonda.
Ero così assorto quando si avvicinò Alì con un suo compagno. Conoscevo Alì: era un ragazzo di colore che viveva di espedienti; rubava e vendeva di tutto. Dentro una scatola portava orologi, accendini, occhiali e altri piccoli oggetti. Avevo notato che sotto il braccio stringeva tre quadri che lasciò cadere malamente sulla parte libera della mia panchina.
-Dai un’occhiata nonno Randa – mi disse, indicandomi i quadri, e aggiunse:
-Vado fino al bar e torno subito. Vuoi qualcosa?
-No grazie – risposi
-Faccio subito nonno. Fai buona guardia, sono quadri di valore.
-Non fare sempre lo sbruffone, dovresti cominciare a mettere la testa a posto.
-Nonno Randa, io sono fatto così e non cambio. Lo sai, no?
-Si, si, lo so; e so anche come finiscono quelli come te.
Non replicò e, insieme con l’amico, si diresse al bar.
Detti un’occhiata ai quadri e mi accorsi che quello di centro; che aveva una forma ovale, si era infilato fra le sbarre del sedile della panchina. Mi premurai a recuperarlo per evitare danni; lo estrassi delicatamente e l’ammirai con attenzione. La cornice era dorata e filigranata alla moresca, dedicai un’occhiata distratta al dipinto che mi attirò in modo insolito; quel quadro emanava una forza magica che mi costrinse a soffermarmi a rimirare l’immagine con curiosità crescente. Vi era dipinta una giovane donna dai lineamenti fini e dalla capigliatura che sfumava nell’ombra evanescente dello sfondo. La vitalità di quel viso mi costrinse a soffermarmi a rimirare con intensità quel volto. Un volto senza gli occhi. Qualcuno, con forbici aguzzi, aveva tagliato il contorno delle orbite ed ora, al posto degli occhi si vedevano due semplici buchi nella tela. Un peccato pensai, il dipinto era di ottima fattura ed il viso di quella giovane donna emanava un certo che di mistero. Rimisi il ritratto in mezzo agli altri due riponendoli di piatto sul sedile; proprio mentre Alì e il suo amico stavano tornando.
-Grazie nonno Randa, disse Alì mentre si riprendeva i quadri e poi, sfilando quello ovale, aggiunse:
-Volevo portarti un panino ma ti lascio in regalo questo quadro, non vale niente, hanno bucato gli occhi della donna. Usa la cornice e mettici un tuo ritratto per i posteri, e sbrigati perché non hai una buona faccia. Capisci cosa intendo?
-Si, si, capisco, e capisco che tu, oltre a essere sgarbato, sei anche un poco di buono. Poi fammi sapere dove ti chiuderanno e sarò io a portarti un panino…e senza la lima dentro…capisci cosa intendo?
Alì si allontanò rapido sghignazzando, tenendo sotto braccio gli altri due quadri che pendolavano mentre il suo amico cercava di aiutarlo per evitare che finissero per terra.
Il sedile della panchina non era il posto adatto per un quadro, lo tolsi e lo sistemai sotto proteggendolo con un cartone; e li stette per tutto il pomeriggio. Al tramonto decisi di andarmene e mi premurai a sistemare meglio il quadro ovale, lo estrassi e lo puntai verso il cielo per dare ancora uno sguardo al dipinto. Con meraviglia mi accorsi che era completo, il volto della giovane donna aveva riacquistato gli occhi e ora appariva nella sua originale completezza. Ebbi un sussulto, ma non riuscivo a staccare la vista dal dipinto. Restai così per qualche minuto con i miei occhi puntati negli occhi di quella figura, sembravano veri e palpitanti di vita. Le braccia non mi ressero oltre e abbassai il quadro e, meraviglia; di fronte a me stava una donna, ritta, immobile che continuava a fissarmi. Era lei la donna del quadro, erano i suoi quegli occhi che colmavano i fori della tela. Non riuscii a dire nulla, restai muto e continuai a rimirarla in attesa che la visione svanisse. Non era una visione; la donna parlò:
-Sono io la donna del quadro. Vago raminga alla ricerca del resto della mia vita; del resto della mia vita non vissuta e trascorsa nell’oblio; e tutto per causa di questo dipinto. Ora finalmente l’ho trovato. Ho trovato ciò che ho agognato per secoli.
Non capivo e la donna continuò:
-Ero una fanciulla di rara bellezza, soave e gioiosa, tutta luce e sorrisi. Funesto fu il giorno che conobbi l’uomo della mia vita. Lui era un pittore, appassionato, sollecito, studioso e austero. Io per contro odiavo la sua arte perché essa, piano piano, diventò la mia rivale. Avevo capito che lui amava la sua arte più di ogni altra cosa e giunse il momento terribile quando mi volle a modella di un suo dipinto. Muta e rassegnata posavo, posavo e soffrivo mentre lui mi usava e mi sacrificava alla sua passione. Cominciai a deperire, giorno dopo giorno ma, mio marito, preso dal suo lavoro non se ne accorgeva. Tutto ciò che veniva trasfuso nel ritratto era sottratto dal mio essere. Fu data l’ultima pennellata e l’ultima sfumatura posta e, per un attimo, vidi mio marito estasiato davanti alla sua opera tanto che esclamò con voce forte: “Questa è davvero la vita stessa”. Tutta la mia vita era stata trasfusa in quel quadro e fu in quel momento che caddi per terra: senza vita.
Ora ho ritrovato quanto mi era stato rubato e me lo riprendo perché questo mi appartiene.
E la donna sparì nel nulla insieme con il quadro.
Frastornato per l’accaduto spensi il computer, lo sistemai nella tracolla e andai fino al bar per riprendermi la batteria di riserva che avevo lasciato per la ricarica.
-E’ sulla mensola dentro il libro, mi disse il barista, puoi prenderla…è già carica.
La nascondeva fra le pagine di un libro per occultarla alla vista di qualche malintenzionato.
Presi la batteria e istintivamente lessi il titolo del libro: “Il ritratto ovale” E.A. Poe.
Salutai il barista e non mi trattenni dal dire: Hai tempo anche per leggere?
Si, mi rispose: leggo racconti brevi nelle poche pause che non ho clienti. Il libro, dove poggio le tue batterie, l’ho finito da poco. Hai visto il titolo?
-Si, ho letto distrattamente…di cosa tratta?
-Il romanzo racconta di una giovane donna ritratta in un quadro dall’uomo che aveva sposato. Questa era una moglie molto devota e servile nei confronti del marito che però aveva un secondo amore, l’arte. Per questo motivo non era molto attento ai problemi della moglie. Infatti nonostante la moglie fosse malata e gracile fisicamente il marito le chiese di posare fino allo stremo mentre la ritraeva. Il luogo scelto dal pittore per ritrarre la moglie era freddo ed umido, molto nocivo per la donna. Il marito era talmente concentrato sul quadro – quasi fosse entrato in uno stato di trance- da ignorare per giorni le condizioni della moglie la quale, pur soffrendo, non volle interrompere l’artista. E proprio nel momento in cui il pittore dette l’ultima pennellata, la giovane moglie,esalò l’ultimo respiro.
Sentita la trama di quel libro, rimasi stupito. Salutai e tornai alla panchina. Inserii la batteria carica e accesi il computer poi guardai lo schermo che ora si nutriva dalla nuova carica e pensavo cose assurde. Pensavo e guardavo il mio computer, così, come si guarda un amico di cui ti fidi e lo ascolti con attenzione; anche quando ti racconta delle cose che hanno dell’incredibile. Cose caricate altrove e poi fatte rivivere su uno schermo “piatto”. Complice: una batteria “ladra”.
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