P. D. Dionisio Di Grano
Si accese in un piccolo rione, a forma di gemma, fra gli alberi, in mezzo alle contrade Lamo, Le Pietre, Montecasale. Ma non divenne cenere.
Incastonata nella natura, Pizzoni guardò per prima agli occhi di Dionisio Di Grano. Ascoltò per prima il suo pianto di bambino. E regalò terra, madre affettuosa, perché i primi passi affondassero nel morbido. E in quel morbido trovassero senso. Senza il quale necessita tutto essere circoscritto da segni e parole. Con il quale il vuoto si riempie per immaginazione.
Vita
Nacque in Pizzoni, piccola terra della Calabria Ulteriore, Domenico Di Grano. Nel marzo 1712. Da Gioacchino ed Elena Mesiano.
Studiò sin da fanciullo le lettere. Amandole più d’ogni cosa, ché con esse credeva poter riempire l’esistenza di segni e parole. Nel Seminario di Mileto, sotto la giuda del maestro D. Giovan Crisostomo Scarfò, teologo basiliano, completò il suo percorso formativo, pervenendo a poesia, in idiomi italiano e latino, e coltivando oratoria.
Ordinato sacerdote, divenne segretario intimo di quel Monsignor Filomarini che lo volle alla propria corte sino alla fine dei suoi giorni. Sino al 1756. Anno in cui, forse, Domenico frantumò la convinzione che ogni soffio vitale avesse bisogno di limiti confinati. Ché, vestitosi delle lane Bruniane della Certosa di Santo Stefano del Bosco col nome di Dionisio, divenne monaco certosino.
Non sensata, forse, in apparenza, la strana associazione: un monaco certosino, che si pensa solo, in cella, all’interno della cinta muraria, e lo sfondamento della barriera della solitudine. Ma a ben guardare le due cose possono e coesistono. In un connubio assoluto, dentro un matrimonio perfetto. La solitudine del certosino non è schermatura o ripiegamento su se stessi, è ricerca delle pretese dell’amore, bramosia di una vita comunitaria che non è libero sfogo né investigazione di bilanciamenti affettivi.
All’interno di una vera solitudine, il certosino comprende la gioia autentica, quella fatta dell’essere unificato ai fratelli da vincoli di affetto reciproco, vero, e amorevolezza. In questa prospettiva, semplice e lineare, come il suo pensiero, Dionisio impiegato nel monastero col grado di maestro dei novizi, procuratore di Grangie, autore di scritti lunghi trent’anni. Scelto procuratore di casa, nell’esercizio di tale funzione, morì il 22 giugno 1777.
Giace seppellito nel cimitero del Chiostro, ma a tutti ha lasciato una ricca eredità.
Amante degli esseri umani, volle dedicare “libro”, soprattutto. Quello pensato ma ancora senza autore. Quello che se oggi lo vai a cercare sul vocabolario ti dice “insieme di fogli stampati e cuciti, racchiusi in una copertina”. Senza stranezza. Al contrario. Quello che perfino non è stato scritto da mani e menti sapientemente addestrate a creare. E vedere. E sentire. E far sognare. Il bello. E certe volte il brutto.
“Libro” ebbe infatti, per Dionisio, ogni cosa dentro e fu dentro ogni cosa. Lasciò a lui il compito di eseguire, realizzare nel suo piccolo, a ridosso di uno spazio senza tempi, ciò che Guglielmo di Saint-Thierry un giorno scrisse ai certosini di Mont- Dieu: “la cella non deve esser mai una reclusione forzata ma una dimora di pace; la porta chiusa non nascondiglio ma ritiro. Colui con il quale Dio è, infatti, non è mai meno solo di quando è solo. Allora infatti gode liberamente della propria gioia; allora egli stesso è suo per godere di sé e di sé in Dio”. E per stare in mezzo agli altri, dall’angolo del suo ritiro, assemblò fogli, riempì “libro”. Perché raggiungesse gli altri e agli altri concedesse di spiccare il volo.
Di Dionisio Di Grano esistono poche note biografiche che tuttavia raccontano di tanti libri. Gli stessi che, noi vogliamo immaginare, percorsero senza paura né esitazione chilometri di strada per essere adottati dai lettori di ogni dove. Col valore assoluto posto nella misura dell’emozione che la lettura riesce a suscitare.
Per immaginare basta poco. Per imparare solo un poco di volontà. Il libro è maestro di vita. Insegna tutte quelle cose che da soli non riusciremmo a vedere, sentire, toccare. E ce le porge, ognuna con un vestito diverso, perché le facciamo nostre e le abbracciamo. “Libro”, per Dionisio, fu vero amico. E lo ricolmò, di attenzioni e nozioni, e lo trasmise, per insegnarci che se gli vuoi bene non ti tradisce. Te e la tua fiducia. E… ti insegna a volare! Al di là di ogni ciancia, dove accade l’incontro dell’anima con Dio. In un genuino scambio di occhiate attraverso il lessico dell’amore, che non è altro che il codice dell’eternità.
C’è stato per Dionisio Di Grano un silenzio interiore ben più difficile dell’assenza di parole. Esso, lo dicono gli scritti e gli appunti di cui la Biblioteca monotematica calabrese di Soriano Calabro custodisce ancora traccia, è consistito nel commiato dai pensieri erranti che si ficcano nel cuore per immaginazione. In vista dello scopo principale che, come registrò il certosino Cassiano, “è la carità”.
Poeta, Dionisio Di Grano, e teologo, visse nel periodo della critica illuministica, materialistica e immanentistica alla religione, ma anche della rivalutazione romantica e storicistica delle religioni positive. Conoscitore profondo, attento dei Canoni, difese il Dogma. Non nei suoi significati originari di editto, prescrizione, in quanto regola di fede antica, e definitiva. “Costantemente d’illibati costumi” (Vito Capialbi), vide nella Morale e nei suoi sistemi la risoluzione di quella questione dei rapporti fra libertà e legge che vuole il ricorso a principi universalmente applicabili. Gli stessi che, dinanzi al dubbio sulla liceità di un atto, permettono ad ogni individuo di operare una scelta moralmente giustificabile, sostenuta, prospettata dalla intima coscienza.
Così fu, Dionisio Di Grano, coerente. Efficace, sobrio, abile a pitturare sfondi e teorie con pochi tratti di penna. Volendo, si sarebbe potuto far ricorso a migliore, maggiore interezza biografica e bibliografica. La scelta di non farlo è dovuta alla volontà di preservare accostato lo scrigno delle sue idee, che hanno forza e generano curiosità. E si maritano mirabilmente con la quieta e composta ragionevolezza di un illuminato.