Non tutti i Serresi sanno che nell’anno 1975 il Capitolo Generale di Grenoble aveva deciso di chiudere la Certosa. L’evento ebbe grande risonanza non solo nella cittadina e in tutta la sua Provincia, ma anche in tutta la Calabria e, non esagero se dico anche in tutta Italia e nel mondo. Il grande chiostro dei monaci bianchi, la millenaria Casa di preghiera e di clausura fondata da San Bruno, il Sacro tempio di Dio nelle Serre di Calabria, il cuore pulsante della spiritualità certosina, il faro di luce che nei secoli illuminò a giorno la storia di Serra e del Meridione d’Italia stava per chiudere definitivamente i battenti.
Perché la Casa madre decideva di sopprimere la Certosa edificata direttamente dal fondatore dell’Ordine, dove il Santo visse per dieci anni in preghiera e in penitenza, dove per grazia del Signore emanò l’ultimo respiro rendendo l’anima a Dio e dove si custodivano le sue ossa, le sue reliquie e le sue impronte mortali su questa terra? I motivi erano due: uno ufficiale e uno recondito. Il primo era quello dato in pasto alla stampa e che, per molti, aveva il sapore di una palese copertura ed era la mancanza di vocazioni. Il secondo, quello vero, era tutto da sottintendere per il semplice motivo che la sola mancanza di vocazioni non avrebbe mai e poi mai giustificato il rifiuto da parte dei certosini di una importante fetta della loro storia né tantomeno avrebbe giustificato l’abbandono delle ossa del fondatore dell’Ordine. All’epoca la stampa parlò addirittura di un atto sacrilego. Su un quotidiano si leggeva: “La notizia trapelata malgrado il suo fitto riserbo, è scoppiata come una bomba in Serra San Bruno lasciando letteralmente sbalordita la popolazione che fino a ieri avrebbe prestato fede ad un tizio che fosse venuto a dirle che la notte di Natale sarebbe spuntato il sole di agosto e avrebbe tacciato di visionario uno che gli avesse semplicemente accennato all’eventualità che la Certosa un giorno o l’altro sarebbe stata chiusa. E’ stato lo smarrimento di un attimo però perché subito i serresi sono passati al contrattacco allo scopo di tentare anche l’impossibile per scongiurare quello che ritengono e forse a ragione, un atto per lo meno sacrilego. Si osserva, infatti, che la Certosa calabrese dovrebbe essere l’ultima, dopo quella di Grenoble ad essere chiusa, se l’Ordine dei Certosini dovrebbe esaurirsi per mancanza di vocazioni. E ciò per il semplice motivo che fu questa casa che raccolse gli ultimi anni e gli ultimi atti del fondatore dell’Ordine, addirittura fu consacrata dalla sua morte, avvenuta nella spelonca di Santa Maria del Bosco”. Tuttavia i Serresi non si sono fatti cogliere impreparati e diedero vita ad una serie d’iniziative, atte a far riflette la Casa di Grenoble e a farla tornare sui suoi passi. Una levata di scudi si verificò in tutta Calabria e nel mondo. Scesero in campo tutte le istituzioni pubbliche e private che inviarono centinaia di petizioni e raccolte di firme. Inoltre delibere, suppliche, inviti, preghiere, sollecitazioni e quanto altro giunsero in Francia provenienti da ogni parte d’Italia e del mondo. Pare addirittura che perfino il papa, Paolo VI, allora felicemente regnante, intervenne per salvare la Certosa di Calabria.
Ma ciò che maggiormente influì sul Capitolo Generale dei Certosini fu lo sciopero della fame fatto da tre giovani del luogo i quali piazzarono sotto le mura della Certosa una tenda e, non curanti della loro salute, si misero a digiunare. In testa al gruppo Silvano Onda, all’epoca di 27 anni, neo diplomato all’Accademia di Belle Arti di Roma. Con lui c’erano anche Salvatore Dominelli, di 21 anni, studente dell’Istituto d’Arte di Vibo Valentia e Antonio Amato, di 24 anni, studente al V anno all’Istituto di Ragioneria. Lo sciopero ebbe inizio nella prima mattinata del 16 maggio e doveva andare avanti ad oltranza fino a quando non sarebbe giunta a Serra la notizia che la Certosa di Serra San Bruno era salva. “Lo scopo della nostra iniziativa –hanno dichiarato i tre giovani alla stampa -è quello di sensibilizzare le autorità certosine della Casa Madre di Grenoble. Continueremo il digiuno fino a quando non sarà revocato tale provvedimento”. Dom Pietro Anquez, inviato a Serra per reggere in via provvisoria le sorti della Certosa, aveva cercato in ogni modo di convincere i tre giovani a desistere dalla loro iniziativa, senza però essere ascoltato. Lo sciopero andò avanti, attirando l’attenzione dei giornali e della TV nazionale. Ma al terzo giorno di digiuno, il 18 maggio, Salvatore Dominelli, cadde a terra svenuto, stremato dalla fame. In suo soccorso intervenne il dottor Francesco Palermo il quale, dopo averlo visitato nel suo ambulatorio, trovò il giovane fortemente denutrito, prescrivendogli l’immediata interruzione del digiuno. Ma il giovane insisteva ad essere riportato dove si trovavano i suoi due compagni, rifiutando assolutamente di mangiare. A questo punto e in modo decisivo furono le famiglie dei tre giovani e la popolazione serrese ad intervenire. Molta gente, in massa, si portò, sul luogo dove era stata piazzata la tenda e costrinse i digiunatori ad abbandonare la loro impresa. La tenda fu smantellata e i tre giovani sono stati portati nelle rispettive abitazioni e rifocillati.
Qualche giorno dopo giunse notizia da Grenoble che la Certosa per decisione del Capitolo generale non sarebbe stata chiusa. Dom Pietro Anquez tornò dalla Francia con la carica di Priore e riferì che quello che maggiormente aveva colpito il Capitolo Generale al punto da convincerlo a mantenere aperta la Certosa fu proprio lo sciopero della fame che aveva messo a fuoco il grande amore dei Serresi verso la famiglia certosina. Non si può concludere questa rievocazione storica se non citando quanto annotato da André Ravier, storico certosino: “Nel difficile sviluppo che dopo la morte di San Bruno conobbe la fondazione di Calabria, un punto rimarrà saldo, stabile: un gruppo di eremiti resterà sempre fedele all’ideale di Bruno, gruppo che andrà assottigliendosi, ma che non verrà mai meno e conserverà lo spirito di lui”.
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