Correva l’anno 1505 allorquando un non meglio identificato signor Antonio De Sabinis, gentiluomo di Stilo, il quale aveva avuto in gestione un appezzamento di terreno nei pressi della chiesetta di Santa Maria del Bosco, rinvenne casualmente, all’interno dell’altare della medesima chiesetta, dove era stata accuratamente murata, una cassa di legno. Da qualche secolo, e precisamente da quando la Certosa era passata sotto la giurisdizione dei Cistercensi, dei resti mortali di San Bruno e di quelli del Beato Lanuino non si era saputo più niente.
Secondo quanto racconta il canonico penitenziere Domenico Taccone Gallucci, i Cistercensi, divenuti padroni del Monastero, “estrassero dal loculo le sacre ossa di S. Bruno e del B. Lanuino, e ripostele in una stessa cassa, ne fecero mantenere la debita distinzione e separazione per mezzo di scritto frapposto, nascondendole con mistero.”
Lo scopo era fin troppo evidente: loro, che appartenevano ad un altro ordine religioso, non volevano che si venerassero le reliquie di San Bruno del quale bisognava che il popolo perdesse la memoria. Forse è stato il caso o forse è stata la divina provvidenza a fare in modo che le ossa del Santo e del beato Lanuino venissero rinvenute. Le sacre reliquie si trovavano proprio nella cassa che il De Sabinis aveva scoperto, nascosta all’interno dell’altare della chiesetta dell’eremo.
Non certo per i Cistercensi, ma sicuramente per i Serresi quella scoperta fu un vero tripudio e, secondo quanto afferma lo stesso Taccone Gallucci, “non potendosi allora più tener celato un fatto, in breve reso pubblico, il giorno terzo dopo la Pentecoste i Cistercensi ne fecero la traslazione alla loro chiesa di S. Stefano con solenne processione, in mezzo a moltitudine di popolo accorsovi da luoghi vicini, e si riposero le insigni reliquie in un Altare della stessa Chiesa, distante un miglio da quella di S. Maria. Vi concorsero circa trentamila persone, e non poche grazie per intercessione del Santo si ottennero.”
Quell’avvenimento segnò la fine del governo cistercense sul Monastero di S. Stefano. Da quel giorno, infatti, il popolo reclamò a gran voce la santificazione di Bruno di Colonia e il ritorno dei Certosini a Serra. Cosa che accadde nel 1513 quando il papa Leone X con un Apostolico Breve decretò la restituzione della Certosa ai Certosini.
Dal 1505 in poi la processione solenne da Santa Maria alla Certosa entrò nella tradizione. Essa si pratica ogni anno il lunedì dopo la Pentecoste e vuole significare nella devozione popolare la celebrazione della ricorrenza della traslazione delle ossa di San Bruno e del Beato Lanuino. Lo si fa non con le reliquie, ma con il busto d’argento del Santo al cui interno, come tutti sanno, si trova custodito il cranio di San Bruno, protettore del paese e fondatore dell’Ordine dei Certosini.
Col tempo, però, si è perduta un po’ di memoria storica e non sono pochi ad essere convinti che il lunedì di Pentecoste ricorre la festa del Santo. Nel merito, tuttavia, è doveroso precisare che la festa di San Bruno ricorre il 6 ottobre. In quell’occasione il busto d’argento viene portato in processione dalla Certosa alla chiesa matrice del paese dove la sacra reliquia rimane per sei giorni, sorvegliata giorno e notte dai fedeli. Non si tratta di un andare e venire nello stesso giorno, come avviene il lunedì dopo la Pentecoste, ma di una sosta prolungata nella chiesa matrice, che culmina con una solenne processione per le vie dell’abitato, durante la quale la gente lancia all’indirizzo della statua manciate di confetti. E’ questo un palese segno di riconoscenza e di devozione da parte del popolo serrese all’uomo venuto da Colonia che, insieme all’Ordine dei Certosini, ha fondato anche la cittadina di Serra.
Alle due celebrazioni, quella del 6 ottobre e quella del lunedì dopo la Pentecoste, vanno attribuiti due diversi significati. Alla prima sono connessi gli adempimenti per la ricorrenza liturgica della festa del Santo, alla seconda è legata la rievocazione del rinvenimento delle sacre reliquie e la loro traslazione nella vicina Certosa di S. Stefano, situata ad un miglio dall’antico eremo bruniano.
Entrambe le ricorrenze occupano un posto importante nella nostra tradizione e si perdono ormai nella notte dei tempi, essendo trascorsi centinaia di anni. Tuttavia la devozione che il popolo serrese riserva a San Bruno ha un qualcosa di particolare. In primo luogo essa affonda le sue radici nella storia e coinvolge pienamente la religiosità dei cristiani; in secondo luogo questa devozione è il palese segno di una indiscussa fedeltà all’uomo che, con la sua venuta all’eremo della Torre, ha aperto una pagina di eccezionale portata spirituale che ancora oggi, a distanza di mille anni, affascina e travolge una moltitudini di fedeli.