Il romanzo “I figli di Filomena” di Pasquale De Luca racconta, in una forma chiara e semplice, con un ritmo avvincente, fatti e vicende, storicamente inquadrati fra gli anni ’50 e ’60 a Tropea e dintorni.
Sono anni di grandi problemi sociali, di cambiamenti, di tensioni, di bisogni, di attese e di speranze del popolo meridionale e dell’intera nazione.
Lo scrittore esamina le storie e le esperienze di vita quotidiana dei singoli personaggi, umili e nobili, delle loro famiglie. Non trascura, poi, le miserie e gli atti di generosità, ma soprattutto si concentra sulle figure del popolo, della gente povera e laboriosa, dedita a spianare il futuro ai propri figli.
Tropea è una città del sud. I suoi monumenti, il centro storico, i palazzi, le viuzze, i vicoli, il corso lastricato, le numerose chiese, la bella cattedrale normanna, i preti, i nobili, i pochi borghesi e i poveri diavoli, che lavorano a giornata, sono la storica testimonianza delle vicende narrate.
Intorno a Tropea si estendono la campagna, gli orti della Marina, quelli del Carmine, della “Terra di Filomena” dove i contadini vivevano in casette di bresti e di pietre, a due piani, con pochi animali, ma con molta fatica e con i doveri verso i signori.
L’Autore narra, indaga, descrive e scava in questo paesaggio di palazzi, di viuzze, di vicoli, di viottoli di campagna, per portarci nella storia dentro le mura di questa città e fuori. Tanti sono gli episodi, tanti i fatti di cronaca della vita nel suo farsi.
Ma queste storie, anche se immaginate, sembrano vere e concrete nel contesto che lo scrittore presenta, contesto storicamente rilevante di dominanti e di dominati, di potenti e di deboli, di ricchi e di poveri, di artigiani e di nullatenenti.
Il romanzo si apre con un funerale, il funerale di Ciccillo, sposo affettuoso di Filomena, madre di una bimba e di un altro in arrivo.
Protagoniste sono le donne, soprattutto tre donne, tre popolane: Filomena, Concetta e Micuccia.
Il carattere preminente e forte del racconto di De Luca sta nelle storie diverse di queste donne con un percorso comune di silente dolore.
Esse si affermano, con tenacia, in una società che le emargina. Hanno però un’antica dignità, quella del lavoro sulla terra, quella dell’onore e della fedeltà, della solidarietà tra gli afflitti e gli ultimi.
Lo scrittore descrive le scene del funerale e del lutto e ne ricava costumi e comportamenti di una fede semplice, che placa lo strazio e il dolore, perché ha in sé una grande solidarietà umana. Più la gente è povera e maggiore è il legame di amore e di pietà, sentimenti questi presenti nell’antica poesia degli scrittori classici.
I contadini dovevano portare, ogni venerdì, i prodotti della terra ai proprietari: verdure, frutta, ortaggi, uova, pollame. Si formavano delle lunghe file di povera gente che andava nei palazzi dei signori, chiusi nella loro agiatezza,che si dilettavano a prendersi gioco dei poveri.
L’Autore ha prodotto un romanzo sobrio e chiaro, di piacevole lettura, lasciando inoltre alle future generazioni un messaggio di grande valore: una civiltà si costruisce e si mantiene con la solidarietà sociale contro ogni forma di violenza.
Il racconto è un viaggio dell’anima e della memoria tra le case e le cose di un paese vicino e lontano esaltandone la vita sulla morte e la pace sui disastri della guerra.
E ciò non è poca cosa in un mondo globalizzato nell’indifferenza, che promuove il mercato e le merci e ignora la persona umana e la dignità del lavoro.