Ruggero I Gran Conte di Sicilia
« Era un giovane assai bello, di alta statura
e di proporzioni eleganti,
pronto di parola, saggio nel consiglio,
lungimirante nel trattare gli affari.
Conservò sempre il carattere amichevole e allegro.
Era inoltre dotato di grande forza fisica
e di gran coraggio nei combattimenti.
E in virtù di questi pregi, si guadagnò in breve il favore di tutti »
(Goffredo Malaterra).
Del nobile cavaliere giunto dalla lontana Normandia, circondato da un alone che unisce leggenda e realtà, storia e mistero che spesso si fondono per esaltarne le gesta gloriose, figura emblematica e discendente di una illustra famiglia, quella degli Altavilla, ci pare quasi inutile scrivere perché molto è stato già detto e scritto. A noi piace ricordare il giovane cavaliere che stabilì a Mileto la propria corte, operò per la crescita economica e culturale della piccola comunità dalla quale partiva per la conquista di altri territori, sovrano cattolico che si meritò il titolo di Gran Conte di Sicilia, costruì e ricostruì famose Basiliche, e a Mileto morì il 22 Giugno del 1101. Il sarcofago di Ruggero non riposa però a Mileto dove fu sepolto nell’Abbazia della SS.Trinità che aveva fatto costruire, il sarcofago ora si trova presso il Museo di Napoli, trasportato dai Borboni dopo eventi disastrosi e a Mileto rimase solo il sarcofago della moglie ed è alla restituzione alla sua città che più di una voce si è levata cercando di sensibilizzare le Autorità competenti per riunire insieme nel Museo di Mileto i due sarcofaghi. Solo il tempo potrà darci la risposta se quanto richiesto e auspicato dall’intera popolazione di Mileto avrà esito positivo. Noi ce lo auguriamo.
IL SOGNO DI ROGERIUS
Sulle alture scendeva lenta la sera, gli ultimi raggi del sole illuminavano ai piedi del cavaliere una distesa di floridi e secolari uliveti che, assorto nei suoi pensieri Rogerius sembrava non vedere affatto. Il viso era corrucciato, come se un pensiero nascosto lo turbasse, l’armatura che portava sembrava pesare sulle sue forti spalle quasi incurvate né si accorgeva che il sole ormai giunto al tramonto faceva risplendere la sua corazza d’argento. Il cavallo, docile fra le sue ginocchia, procedeva lento, assecondando quasi l’umore del suo bel cavaliere.
Quando all’improvviso s’impennò, Rogerius fu quasi sbalzato di sella, cercò di calmare l’animale che, ritto sulle zampe posteriori sembrava invece recalcitrare sempre più fino a quando riuscì a liberarsi dal morso e abbandonare a se stesso il suo cavaliere fuggendo e nitrendo a lungo. Rogerius non era abituato ad essere spodestato da alcuno, tanto meno dal suo cavallo, per cui dopo un primo attimo di smarrimento si rialzò e iniziò a guardarsi intorno mentre i raggi del sole andavano man mano allungando solo qualche ombra: la sera sarebbe giunta presto ma non si scoraggiò.
Sapeva bene di essere nei suoi possedimenti e che la sua dimora non poteva essere lontana, s’incamminò tranquillo verso quella che sembrava una luce, una capanna forse di qualche pastore ma dopo aver fatto pochi passi, si accorse di essere dentro una grotta, una luce la illuminava ma non riuscì a capire da dove provenisse: la capanna gli parve vuota, dai muri grondava un po’ d’acqua e nel silenzio rotto solo dalle gocce che battevano sul pavimento di pietra, gli parve di avvertire dei singhiozzi.
Il suo nobile animo di cavaliere ne fu subito commosso ma, benché scrutasse ogni angolo, non riuscì a vedere nessuno, cercò di ascoltare la provenienza di quel pianto così accorato e gli parve che uscisse proprio da quella misteriosa luce che splendeva in un angolo della grotta alla quale si avvicinò con riverenza e, pur non vedendo alcuno s’inginocchiò e chiese:
“ Chi sei? Perché piangi?”, una voce dolce e femminile rispose: “ Non hai forse visto come è stata distrutta la mia casa? Ora non ho più dove andare né alcuno che mi venga a trovare. Il tetto è in rovina perché ogni parete è crollata e ogni mio altare ora è senza fiori… sbriciolato… non più corone alle mie statue che son rotte, giacciono tutte al buio, a terra, nessuno le ha raccolte… il vento le flagella. Ogni povero sostava per riparo e davo luce ad ogni cuore oscuro”.
Rogerius rimase in ginocchio e in silenzio, gli pesavano quelle parole come un rimprovero diretto a lui e mettendo una mano sul cuore rispose: “Sarò il tuo servo e costruirò per te una grande casa, avrai di nuovo il tuo altare, dove tutti i poveri potranno trovare riparo, lo giuro, sono un cavaliere del Signore”.
D’improvviso la luce scomparve e Rogerius non si trovò nella grotta, pensò di avere sognato perché era nuovamente in sella al suo destriero ed un’alba radiosa era sorta colorando ogni foglia che al suo passaggio sembrava inchinarsi; in cuor suo ripensava alla promessa fatta in un antro splendente di luce, ripensò alla voce, gli sembrò di riudire il pianto e promise in cuor suo “ mai più lacrime Al Tuo Altare” perché…
Quando scende l’ombra della sera
sempre t’accompagna una preghiera.
Se pensi che il destino t’è avverso
ti prepara di certo un’altra strada
perché tu possa giungere alla mèta.
E non aver paura!
Realizzerai ogni tuo sogno infranto
come bottiglia verde sulla riva
riluce sotto il sole che la cuoce.
Ed ogni vetro sembrerà più bello
anche fra i sassi e asciugherà al calore
come panno steso accanto al focolare.
Ma non temere
v’è sempre un giorno per ricominciare
un altro sogno ancora da inseguire…
e un’altra prece porterò all’altare.
( da “Cadono come petali i sogni”)
Come aveva promesso alla voce che nella grotta aveva ascoltato e pensando alle lacrime che l’avevano accompagnata, Rogerius s’impegnò fin dal giorno seguente a cercare un luogo che fosse ampio, luminoso, dove il sole potesse illuminare dall’alba al tramonto la grande casa che aveva promesso di costruire. Passò molto tempo a disegnare, cancellare e ridisegnare nuovamente quello che nella sua mente si presentava come un grande progetto; aveva a sua disposizione braccia forti dei suoi soldati, maniscalchi, fabbri e falegnami, bravi muratori, decoratori e pittori e quando trovò il luogo adatto, i lavori iniziarono e progredirono alacremente. Passava gran parte del tempo a sorvegliare i lavori, spronando, dando suggerimenti e consigli, aiutando talvolta, con grande stupore dei suoi sottoposti che si sentivano onorati dalla presenza del cavaliere e nello stesso tempo cercavano di soddisfare i suoi desideri lavorando il più velocemente possibile e con grande precisione. A sera, Rogerius, stanco e soddisfatto saliva sull’altura e contemplava dall’alto i progressi che quotidianamente la grande casa andava man mano elevandosi. Nel cuore avvertiva una sensazione di pace mista a grande timore, né sapeva spiegarsi il perché di questo disagio e mentre il tempo sembrava trascorrere sempre più in fretta, l’ansia aumentava il desiderio di completare al più presto la sua opera e mantenere così la promessa fatta ad una voce dentro una grotta che non era mai più riuscito a trovare.
L’entusiasmo che aveva all’inizio mostrato e che aveva contagiato anche tutti i suoi aiutanti sembrava a tratti scomparire sotto il peso del tempo che scorreva inesorabile: primavera, estate e autunno erano ormai passate e si preparava un inverno che minacciava di essere rigido. In sogno Rogerius riudiva “…ogni povero sostava per riparo..” e si svegliava sudato e col batticuore, capiva che se non avesse terminato in fretta il suo compito e mantenuto la sua promessa, non avrebbe avuto più pace. A nessuno aveva raccontato la sua visione, né si era sentito in obbligo di farlo, così come nessuno aveva chiesto spiegazioni: non si dovevano e il Signore del maniero si sentiva quasi abbandonato e solo benché la volontà di adempiere alla promessa fatta costituisse per lui un obbligo d’onore al quale non poteva venir meno.
Pensò un giorno di raccogliere attorno ad una tavola gli amici e tutti coloro che aveva assoldato nella costruzione della grande casa, artigiani e contadini, nobili e poveri della sua contrada che, all’invito di Rogerius, avevano spalancato gli occhi cercando di presentarsi con i loro abiti migliori.
L’immenso salone del castello splendeva di luci e risuonava di canti; il profumo dei fiori che riempivano i grandi vasi si spandeva nell’aria, Rogerius osservava contento quell’allegria che accomunava la sua gente, unita nella sua casa: il ricco con il povero, il maniscalco con un Marchese, il calzolaio con un Principe dialogava, forse di scarpe ma insieme a condividere quella festa inaspettata.
Ad un tratto si udì come un tuono, un brontolio lontano sembrò avvicinarsi e per un attimo cadde un silenzio come presago di sventura, la terra si mise a tremare come se qualcosa l’avesse all’improvviso colpita. Rogerius si affacciò al grande portone del suo castello e guardò fuori rimanendo stupito, uscì subito seguito dagli altri ospiti a guardare la desolazione che si presentò davanti ai suoi occhi: la grande casa che era giunta a buon punto e che in tanti avevano contribuito ad innalzare, giaceva a terra, in frantumi, le pietre continuavano a rotolare una sull’altra ma intorno nulla era mutato, alberi e case non avevano ceduto al terremoto.
Rogerius rimase un poco a guardare fuori, poi si voltò e vide tutti gli amici intorno a sé: i poveri che aveva raccolto, i contadini che avevano lavorato, gli architetti che avevano reso famoso il suo castello, i pittori che avevano adornato le sue belle sale con i loro dipinti…li guardò tutti, uno per uno e sentì una grande pace scendere nel suo cuore e comprese alfine di aver realizzato la promessa fatta alla voce che gli aveva parlato e che aveva pianto nella grotta e comprese finalmente il reale messaggio ricevuto. Rogerius s’inginocchiò, dai suoi occhi scendevano lacrime di gioia e non s’accorse che un lampo di luce illuminava la sua figura raccolta come in preghiera …venne subito imitato da tutti coloro che gli stavano intorno e che pensarono volesse ringraziare per lo scampato pericolo; né compresero quando ad alta voce disse: “ Questa casa sarà “Il Tuo Altare”.